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domenica 5 maggio 2013

Partigiani e Squatter uniti e ribelli … come la gramigna


In realtà sono solo appunti, nessuno ha voluto seguirci su quella strada, pensavo tra me e me. Avevamo scelto di evidenziare la dimensione "comunitaria" delle storie e di chi le racconta perché  ci sembrava quella la questione da affrontare. In realtà  stavamo parlando dell'uovo di colombo, o della lettera rubata del racconto di Poe, in fondo di constatazioni banali, descrizioni assolutamente pragmatiche di cose che succedevano e succedono ogni giorno. Ogni bar, ogni compagnia di amici ha il suo cantastorie, che è uno storico orale, ma anche il rielaboratore della memoria del luogo e/o del gruppo.
Parliamo dell’antifascismo, dell’antirazzismo, dell’egualitarismo di un pensare e agire la politica che abbia come fine ultimo l’emancipazione dalle classi dominati, la liberazione dei nuovi schiavi, il riscatto degli oppressi. Quelli che una volta erano pensieri condivisi da gran parte dell’arco costituzionale sono ora ingombranti intralci da tacere, retaggio di un’epoca in cui il conflitto sociale era lo strumento di un lavoro politico e non un fantasma da rinchiudere con imbarazzo in un armadio.
Lo stesso ceto politico che si inchina ai poteri forti, della quale esso stesso è parte, alle gerarchie ecclesiastiche, ai poteri economici, che si vergogna della Resistenza, a lungo confinata in una irreale dimensione di lotta del Bene contro il Male.
In questi tempi difficili persino questa interpretazione è troppo progressista, dal momento che intralcia almeno formalmente l’attenta opera di riciclo dei post-fascisti mai pentiti e, soprattutto, si contrappone a una operazione di capillare diffusione di messaggi xenofobi, razzisti, discriminatori, omofobi.
Tale operazione non passa attraverso analisi e dibattiti, ma si accontenta di riletture mediatiche della storia di ieri e di oggi: semplificazioni a uso dei mass media, costruite a colpi di fiction, di film di serie B, di salotti televisivi, di attori dal volto accattivante, di registi prezzolati, di dirigenti compiacenti della TV pubblica e privata.
Questa produzione mediatica è anche una produzione culturale e risponde a precise esigenze politiche: dire che i fascisti non erano poi così cattivi, che spesso non erano d’accordo con i nazisti, che anzi lottavano strenuamente per difendere la popolazione italiana è la premessa logica per riproporre alcune teorie e alcune pratiche che avevano proliferato nel ventennio e che sono insite nel bagaglio culturale della classe dominante di questo Paese.
Contro queste teorie e queste pratiche hanno combattuto i partigiani della Resistenza e continuano a combattere ancora oggi per chi le sa vedere, portando ovunque una testimonianza che vuole essere anche un monito, non solo la narrazione di un pezzo di storia che è stata.
Contro queste teorie e queste pratiche continuano a combattere le compagne e i compagni dei collettivi studenteschi, delle università e delle strutture di base. Tutti coloro che insistono nel ricordare come la Resistenza abbia significato guerra antifascista, conflitto sociale, lotta popolare e che ogni eccidio fascista, ogni omicidio delle squadracce, ogni offensiva dei camerati di ieri e di oggi è un’aggressione alle masse popolari, agli umili, agli oppressi, ai proletari, a quella che è la parte migliore della società.
I partigiani tra gli squatter.  La Resistenza e lo Spirito di Seattle. Fazzoletti rossi di cinquant’anni fa e i black block. Cortocircuito ideale, gioco di rimandi che starebbe bene in un libro, ma ancor più nelle piazze e forse ogni tanto ci sta.
Perché sono le condizioni che ci mettono insieme, creare le occasioni dunque è strategico.
I vecchi nemici dei nazifascisti e giovani avversari della globalizzazione sono, devono essere,  dalla stessa parte.