Il Capitalismo è fallito anche nel suo rapporto con la Natura, che ha
preteso di dominare come una sposa e trasformare in pura e semplice merce. La sua
logica interna produttivista, implacabile, che lo spinge a produrre e consumare
ininterrottamente, la sua pretesa di una crescita senza limiti e quasi senza una
meta, si scontra con il limite di una Natura che non obbedisce a tali parametri
di sussistenza e che oramai sopra del problema di ristabilire la propria salute.
Per molti la distruzione dell'ambiente, l'inquinamento dell'aria dell'acqua, la
deforestazione eccetera, ferite irreversibili che la Natura sta subendo sotto l'egemonia
del Capitalismo, sono il segno più evidente del fatto che questo sistema è stato
sconfitto a causa della sua stessa attività, della sfida che ha lanciato, visto
che ha finito per rendersi la vita letteralmente impossibile. Non è possibile prorogare
ancora a lungo il modo di produzione capitalista senza che ciò significhi la fine
di tutto - e, dunque, la sua stessa fine.
Un capitalismo globalizzato, assolutamente mondializzato, suggerisce l'idea
di un capitalismo che conosce per la prima volta la coercizione dei limiti insormontabili,
un capitalismo irrigidito, stagnante, spossato, che ormai può incanalare la propria
dinamica di crescita (e di distruzione) solo verso l'interno, divorando le proprie
basi, il proprio nutrimento: la Natura. La logica dell'espansione sarà sostituita
da una necrologica della putrefazione, conseguenza di questa specie di suicidio
dovuto all'impossibilità di fermarsi. E' chiaro che questo momento non è ancora
arrivato e che al capitalismo rimane ancora a corda.
Ma va in questa direzione e se l'uomo con le proprie mani non si sbarazza
della natura (e al tempo stesso di se stesso), sarà la natura a sbarazzarsi dell'uomo