La "syngué
sabour" nella tradizione popolare afghana è la "pietra paziente"
cioè una pietra magica alla quale è possibile raccontare tutti i segreti, le
sofferenze, le difficoltà. La pietra si carica di queste rivelazioni fino a
quando si frantuma.
Una giovane
donna afghana, con due figlie in tenera età, vive in una misera abitazione col
marito mujaeddhin, in coma in seguito a uno scontro con un compagno d'armi. In
una stanza spoglia l'uomo è disteso a terra nell'immobilità assente del coma,
la giovane moglie inginocchiata accanto a lui lo assiste amorevolmente
alimentandolo in modo rudimentale con una flebo artigianale. La donna deve
combattere con la mancanza di denaro e per questo allontana da casa le bambine
affidandole a una zia che gestisce una casa di piacere.
La vita della
donna è una continua sofferenza. Sofferenza che si fa ricordo di umiliazioni
subite in quanto donna, essere inferiore a cui non concedere né ascolto né,
tantomeno, affetto. Un corpo costantemente coperto che però progressivamente
acquista luminosità a partire dal volto grazie a un processo di autoanalisi
liberatoria. Un processo che verrà accelerato da un incontro capace di mostrare
alla protagonista un aspetto diverso della realtà che non aveva mai potuto
sperimentare in precedenza. Un incontro che le permette di rivelare a se stessa
una femminilità fino ad allora implosa se non negata. Come la nega quel burqa
che quando esce di casa, grazie a un solo gesto divenuto forzosa abitudine la
separa dal mondo.
E così, mentre
fuori infuriano le cannonate, le macerie, la polvere, i carri armati, i morti
di Kabul, la donna, per la prima volta in vita sua, inizia a parlare al marito
muto e immobile, che diventa metaforicamente la sua "pietra paziente"
alla quale lei confessa le cose più intime: sogni, desideri, piaceri, segreti.
Da quel momento si sente ancora più libera. Quando poi una novità irromperà
nella sua vita finirà con il trovare tutto il coraggio.
Atiq Rahimi,
afghano rifugiatosi a Parigi nel 1984 dove, diplomatosi in cinema alla
Sorbonne, dirige diversi documentari. Il film è tratto da un suo romanzo di
lingua francese. I quattro personaggi principali sono senza nome: la donna,
l'uomo, il giovane soldato, la zia. La protagonista è praticamente davanti alla
cinepresa dall'inizio alla fine. Nel film il colore dominante è l'azzurro, il
colore del velo delle donne afghane che ne cela i sogni nascosti.