All’interno del sistema
mercantile, che domina ovunque, il lavoro non ha per finalità, come vorrebbe far
credere, la produzione di beni utili e graditi tutti; suo unico scopo è la produzione
di merci. Le merci, indipendentemente dalla loro utilità, inutilità, sofisticazione,
non assolvono ad altra funzione che a quella di mantenere e di aumentare il profitto
e il potere della classe dominante. In un sistema simile, tutto il mondo lavora
per niente, e ne ha sempre più la coscienza.
Accumulando e riproducendo
le merci, il lavoro costretto non fa che aumentare il potere dei padroni, dei burocrati,
dei capi, degli ideologi.
Ovunque c’è merce
c’è lavoro costretto e, ormai, quasi tutte le attività sociali si stanno riducendo
ad esso. Produciamo, consumiamo, mangiamo, dormiamo, per un padrone, per un capo,
per lo stato, per il sistema generalizzato della merce.
Il lavoro costretto
produce unicamente merci. Ogni merce è inseparabile dalla menzogna che la rappresenta.
Il lavoro costretto produce dunque menzogne, crea un mondo di rappresentazioni fittizie,
un mondo ribaltato dove un accumulo di immagini tiene il posto della realtà. In
questo sistema spettacolare e mercantile, il lavoro produce su se stesso due menzogne
importanti: la prima consiste nella solita litania per cui il lavoro è utile, necessario
e indispensabile e che quindi è nell’interesse di tutti continuare a lavorare; la
seconda mistificazione sta nel far credere che i lavoratori non sono in grado di
liberarsi del lavoro e dal salario e che non sono quindi capaci di edificare una
società radicalmente nuova, basata sulla creazione collettiva e attraente e sull’autogestione
generalizzata.
La fine del lavoro
costretto significherà la sparizione di un sistema in cui regnano unicamente il
profitto, il potere gerarchico, la menzogna generale.
La ricerca dell’armonia delle passioni, infine liberate e riconosciute, prenderà il posto della corsa al denaro e alle briciole del potere