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martedì 3 marzo 2015

Movimento ’77 Tra creatività e “militarismo” Pt 2 Il Movimento Femminista

Nel 1977 emergono quelle tematiche che non avevano potuto esprimersi nel movimento del 1968, dove subito si era imposta l’ortodossia marxista e leninista.
É invece solo in parte collegato al ‘77 il movimento femminista. I primi collettivi, quelli non diretta emanazione dei partiti, come l’Unione Donne Italiane (Udi), per esempio, nascono già nel 1969. Ma le tematiche relative alla discriminazione sessuale hanno trovato non poche difficoltà ad emergere in un universo giovanile dominato da gruppi che avevano una visione dualistica della società, operai contro padroni, e che consideravano di secondaria importanza tutti le problematiche non riconducibili allo scontro tra capitale e lavoro. E così le donne hanno individuato proprio nella “autonomia” la garanzia per poter esprimere liberamente la rabbia e la globalità delle proprie esigenze. “Gli attacchi contro questo spazio autonomo delle donne sono stati molto duri”, scrivono le femministe di Bologna nel 1976:
“Da una parte i maschi delle organizzazioni politiche, che vedevano uscire le donne, e quindi la manovalanza che distribuiva volantini, puliva le sedi, ciclostilava e consolava sessualmente, reagivano accusandoci di dividere la classe e di essere lesbiche. Dall’altra i maschi delle famiglie reagivano violentemente al fatto che le donne uscivano di casa per percorrere spazi sociali e politici da loro incontrollabili.”
Con la crisi dei gruppi della nuova sinistra e l’emergere di un movimento che non vede nella società solamente uno scontro frontale tra classe operaia e capitalisti, ma una miriade di conflitti minori che esplodono in quartiere, in città, nella metropoli, cioè in quello spazio urbano nel quale la donna vive e lotta molto più di quanto faccia l’operaio, ormai avviato verso l’integrazione, le cose cambiano radicalmente. Scrivono le femministe di Trieste:
“I compagni si sono accorti che siamo noi che teniamo in piedi le lotte nei quartieri visto che siamo noi, coi bambini, che ci viviamo tutto il giorno. (...) I quartieri sono fatti di case, di appartamenti dove le donne sgobbano tutto il giorno, coi bambini sempre addosso, perché i loro uomini possano trovare un ambiente decente quando tornano a casa dal lavoro.”
A chi le accusa di essere settarie e corporative, e non sono pochi nella nuova sinistra, ma anche in alcuni settori del nuovo movimento, le femministe rispondono così:
“La necessità di parlare e decidere tra donne per scoprire e determinare i nostri bisogni e i nostri obiettivi dipende da tutta la storia del movimento operaio maschile, che ha sempre negato addirittura l’esistenza di esigenze specifiche delle donne e ci ha sempre relegato a questione particolare anche se siamo la maggioranza della popolazione.”
In questo periodo le femministe sono in lotta per l’aborto libero e gratuito. E’ una battaglia molto difficile, perché deve fare i conti con l’ignoranza della maggioranza della popolazione, maschile e femminile, con una cultura popolare intrisa di un cattolicesimo bigotto, che ha sempre relegato la donna al ruolo di madre, di mezzo di riproduzione, e con una sinistra costituzionale che appoggia il governo della Dc, un partito che solo due anni prima si era battuto con tenacia per abolire l’istituto del divorzio.
Ma c’è anche chi non è d’accordo, come il Collettivo di via Cherubini di Milano, per esempio, che si batte per l’affermazione del corpo femminile come “sessualità distinta dal concepimento, capacità di procreare, dalla percezione della sessualità interna, caritaria: utero, ovaie, mestruazioni”.
“L’aborto non è “fine di una vergogna” (come sostiene il resto del movimento femminista, n.d.a.). La maggioranza delle donne che abortiscono nella clandestinità non si vergognano di essere clandestine. (...) La clandestinità dell’aborto è una vergogna degli uomini, i quali, spedendoci negli ospedali ad abortire ufficialmente, si metteranno la coscienza in pace in modo definitivo. Si continuerà, come prima e meglio di prima, a fare l’amore nei modi che soddisfano le esigenze fisiche, psicologiche e mentali degli uomini. Rimane il divieto di situarci in un’altra sessualità interamente orientata contro la fecondazione.”
La battaglia per l’aborto riesce comunque ad aggregare migliaia di donne e diventa argomento di dominio pubblico a partire dal 1976, quando un incidente negli stabilimenti della Icmesa di Seveso (vicino Milano) provoca un’intossicazione di massa. Di fronte alla possibilità che centinaia di bambini possano nascere handicappati, la falsa coscienza di molti italiani si mette in movimento e l’aborto esce dal ghetto in cui è sempre stato confinato. “Non siamo più isolate, non siamo più poche, non siamo demonizzate, scalmanate, esibizioniste - si legge in “Vogliamo Tutto”, una rivista del Movimento - siamo donne in lotta contro i nostri nemici! E non possiamo, non dobbiamo aspettarci di essere trattate diversamente dalle altre componenti rivoluzionarie del movimento: (...) le streghe son tornate!”.
(continua)