Il 23 marzo 1921 un gruppo
di anarchici milanesi, convinto sulla base di informazioni volutamente false, di
poter colpire Gasti, il questore di Milano, fa esplodere un potentissimo ordigno
all’esterno del teatro Diana. L’esplosione causa ventuno morti e più di centocinquanta
feriti, ma ad essa scampa l’obiettivo principale. Gli autori del gesto, da tempo
esasperati per la ingiusta detenzione dei redattori del quotidiano Umanità Nova,
Borghi, Malatesta e Quaglino, vogliono richiamare l’attenzione sulle condizioni
di salute dei tre detenuti. Costoro, infatti, nonostante l’avanzata età di Errico
Malatesta, hanno appena iniziato uno sciopero della fame ad oltranza, per protestare
contro le pretestuose lungaggini dei tempi processuali. Naturalmente, invece di
far nascere un qualsiasi moto di solidarietà nei confronti del vecchio anarchico
e dei suoi compagni di galera, il sanguinoso attentato genera un profondo moto di
orrore, che si riverbera in nuove accuse e rinnovati, durissimi, attacchi a tutto
il movimento anarchico.
Nessuno degli scopi che gli
attentatori si sono prefissi viene raggiunto: la borghesia non si fa intimidire,
ma diventa ancora più determinata nel combattere «la canaglia rossa»; i fascisti
ne approfittano per compiere nuove e più selvagge azioni, quali la distruzione delle
sedi di Umanità Nova e L’Avanti!; Malatesta e compagni restano in prigione, oppressi
oltretutto da quanto avvenuto in loro nome; centinaia di persone assolutamente innocenti
ci rimettono la pelle o l’integrità fisica; Gasti si fa ancora più infame e potente;
il movimento anarchico viene isolato e sottoposto a feroci repressioni. Degli esecutori
materiali, Giuseppe Mariani e Giuseppe Boldrini sono condannati all’ergastolo, mentre
Ettore Aguggini si busca 30 anni di galera. Numerosi altri anarchici, pur estranei
all’attentato, subiscono pesanti condanne che vanno dai 5 ai 18 anni.
Di quanti furono coinvolti
nella «faccenda del Diana», l’unico che ne ha scritto è Giuseppe Mariani. Nel 1953
ha infatti pubblicato un primo libro, Memorie di un ex-terrorista, seguito, l’anno
successivo, da Nel mondo degli ergastoli. Colpisce leggendo quelle pagine, così
cariche della tragedia che ne ha distrutto l’esistenza, non ci sia una sua parola,
una sua sola parola a giustificazione di quanto commesso. Evidentemente i 27 anni
trascorsi in galera, spesi nello studio e nella riflessione, avevano profondamente
cambiato l’uomo, e il suo anarchismo, rimasto integro come negli anni della giovinezza,
si era maturato nel rifiuto di ogni forma di gratuita violenza.
Peppino Mariani fu graziato
nel 1948, dietro l’interessamento del suo ex compagno di detenzione, e futuro presidente
della Repubblica, Sandro Pertini. Trasferitosi a Sestri Levante, vi aprì una libreria,
che gli permise di vivere, poveramente ma con grande dignità, fino al 1974, anno
in cui si spense.
“Prima però di scendere nei
particolari di quel tragico fatto ritengo necessario dire subito, anche se nelle
spiegazioni successive risulterà maggiormente evidente, che senza l’arbitraria e
prolungata detenzione in carcere di Errico Malatesta, l’attentato non solo non sarebbe
mai stato fatto, ma neppur pensato.
Se le nostre precedenti attività
terroristiche lasciano supporre in noi una formazione mentale predisposta ad azioni
del genere, abbiamo anche esplicato altre attività che dimostrano tutto il contrario:
la nostra partecipazione a tutte le lotte sindacali, alle agitazioni e manifestazioni
collettive e alla preparazione della rivoluzione. Nel marzo del 1921 la nostra volontà
era galvanizzata non solo dal fatto particolare di Malatesta detenuto e in stato
di rivolta con lo sciopero della fame, ma da tutto il fermento politico e sociale
del momento di cui, si può dire, noi eravamo il prodotto e l’espressione. Se poi le circostanze, trascendendo volontà e
propositi, fanno seminare la morte dove si vorrebbe la pace, non diremo la solita
frase con la quale gli storici da strapazzo hanno sempre creduto di giustificare
i delitti di tutti i tiranni: “ Fate il processo alla storia ”. Ma diremo invece,
come nel suo interrogatorio ebbe a dire il mio povero compagno Aggugini: “ Noi piangiamo
sulle vittime del Diana, mentre voi non piangete mai su tutte le vittime che il
vostro sistema sociale semina tutti i giorni a migliaia”.
(Tratto da: Giuseppe Mariani,
Memorie di un ex-terrorista, Torino, 1953.)