Dopo due secoli di negazione attraverso una continua idealizzazione della
produzione, le funzioni sociali primitive del gioco si presentano solo più come
sopravvivenze imbastardite frammiste a forme inferiori che deviano direttamente
dalle necessità dell’organizzazione attuale di questa produzione. Nello stesso tempo,
in rapporto dello sviluppo stesso delle forze produttive, compaiono delle tendenze
progressive del gioco. La nuova fase di affermazione del gioco sembra debba caratterizzarsi
con la scomparsa di ogni elemento competitivo. Il problema di vincere o di perdere,
finora quasi inseparabile dalla attività ludica, appare legato a tutte le altre
manifestazioni della tensione tra individui per l’appropriazione dei beni. Il sentimento
dell’importanza del vincere nel gioco, che si tratti di soddisfazioni concrete o
più spesso illusorie, è il prodotto avvelenato di una cattiva società. Questo sentimento
è ovviamente sfruttato da tutte le forze conservatrici che se ne servono per mascherare
la monotonia e l’atrocità delle condizioni di vita che impongono. Basta pensare
a tutte le rivendicazioni sviate per mezzo dello sport agonistico. Non solo le folle
si identificano con giocatori professionisti o con certe squadre, che assumono lo
stesso ruolo mitico delle stelle del cinema che simulano la vita e degli uomini
dello stato che decidono in vece loro, ma anche il succedersi senza fine dei risultati
di queste competizioni non cessa di appassionare chi vi assiste. La partecipazione
diretta a un gioco, anche preso tra quelli che richiedono un certo esercizio intellettuale,
è altrettanto poco interessante appena si tratta di accettare una competizione,
fine a se stessa, nel quadro di regole fisse.
L’elemento di competizione dovrà scomparire a vantaggio di una concezione
davvero più collettiva del gioco: la creazione comune degli ambienti ludici scelti.
La distinzione centrale che bisogna superare è quella che si stabilisce tra il gioco
e la vita corrente, in quanto il gioco viene considerato un’eccezione isolata e
provvisoria. La vita corrente, condizionata finora dal problema del sostentamento,
può essere dominata razionalmente e il gioco, che rompe radicalmente con un tempo
e uno spazio ludico delimitato, deve invadere l’intera vita. In questa prospettiva
storica il gioco non appare affatto al di fuori dell’etica, del problema del senso
della vita. L’unica riuscita che si possa concepire nel gioco è la riuscita immediata
sul proprio ambiente e l’aumento costante dei propri poteri. Mentre, nella sua attuale
coesistenza con i residui di questa fase di declino, il gioco non può liberarsi
completamente da un aspetto competitivo, il suo scopo deve essere perlomeno quello
di provocare delle condizioni favorevoli per vivere direttamente. In questo senso
è ancora lotta e rappresentazione: lotta per una vita a misura del desiderio, rappresentazione
concreta di una simile vita.