La critica
radicale è il movimento stesso in cui i proletarizzati lottano contro il
dominio del fittizio, smascherando l’organizzazione delle apparenze. Da quando
il fittizio e la sua avvelenata promessa si insinuano in ogni esistenza
svuotandola di ogni senso vivo e presente, trova a resisterle il furore
crescente di una fame di vero e di senso, che parte dal corpo stesso della
specie.
A mano a mano
che in ogni forma dell’esistente si realizza un momento del valore
autonomizzato, a mano a mano che l’antropomorfosi del capitale mette in scena
“un’umanità” di automi, insorge a combatterla ciò che le è irriducibilmente
alieno.
La lotta in
processo è innanzitutto smascheramento e denuncia del falso, rottura violenta degli
schemi frapposti tra il fine reale della rivoluzione e il furore degli oppressi
deviato in falsi scopi. Al punto estremo di contraddizione tra capitale e
vivente, il fine reale della rivoluzione non può essere meno che la distruzione
del capitale e la realizzazione della specie umana quale comunità vivente in un
rapporto di coerenza organica con l’universo naturale. Il dominio del capitale
su una collettività sotto-umana e su un pianeta avvelenato, sempre più si
rivela come l’ultimo ostacolo che separa l’autogenesi creativa della
comunità-specie dal suo modo latente. È quando la critica radicale, attaccando
ogni forma di rappresentazione fittizia, indica nel suo muoversi. Perciò da
sempre esso suscita l’odio più nero dei gestori della finzione. Ogni sorta di
amministratori fraudolenti di “crisi” parcellari, di “politiche” alternative,
di “battaglie” immaginarie, trova in essa il nemico irriducibile. Essi si
provano a combatterlo con i mezzi che sono loro congeniali: la calunnia, la
deformazione della storia, sino al ripudio di quanto, nel passato, la loro
“cultura” indica come anticipazione dello stesso movimento.
(Tratto da PUZZ n° 20 giugno-agosto 1975)