Il terreno comune su cui si incontrano
i borghesi, che cercavano di corrompere, e quei socialisti, che cercavano di
essere corrotti, fu l'urna elettorale. Né il danno sarebbe stato grande, ma i
traditori, gli ambiziosi e gli stanchi riuscirono purtroppo a trascinare
all'urna molti buoni, che credevano sinceramente di acquistare una nuova arma
di lotta contro la borghesia, e di avvicinare con quel mezzo l'avvenimento
della rivoluzione. Naturalmente per mascherare la manovra il passaggio si
fece a gradi. Al principio non si infirmò nessuna delle conclusioni acquisite
al programma socialista. L'espropriazione per mezzo della rivoluzione, si
andava ripetendo, è l'unico mezzo per emanciparsi: il suffragio universale,
la repubblica e tutte quante le riforme politiche lasciano il tempo che
trovano e non sono che tranelli tesi all'ingenuità popolare. Però,
s'insinuava dolcemente, qualche bene se ne può cavare: profittiamo di tutto,
serviamoci come armi delle concessioni che possiamo strappare al nemico,
allarghiamo il nostro campo di azione, cessiamo dal roderci della nostra
impotenza, siamo pratici. E tosto si mise avanti il progetto di andare
all'urna, scopo a cui tendeva ed in cui si riduceva tutto quel preteso
allargamento di tattica. Ma siccome non s'osava ancora rinnegare tutto il
detto sulla inutilità della lotta elettorale e sull'azione costruttrice
dell'ambiente parlamentare, si disse che bisognava votare semplicemente per
contarsi, quasi che fosse necessario andare all'urna e farsi contare dal
nemico per giudicare dei progressi del partito. E per affettare scrupolosità
si parlò di votare un bollettino in bianco, o per dei morti o per degli
ineleggibili. Poi, senza aver l'aria di nulla, i morti diventarono vivi e gli
ineleggibili si trasformarono in persone che al parlamento potevano e
volevano andarci e restarci. Ma non si osava confessarlo: si trattava sempre
di candidature di protesta: gli eletti non entrerebbero in parlamento,
rifiuterebbero il giuramento là dove era richiesto, o c'entrerebbero per
sputare in faccia alla borghesia la infamia sua, e farsi scacciare come
nemico che non transige. Poi nemmeno più questo.

In parlamento bisognava andarci per
profittare della tribuna parlamentare, per scoprire e denunciare al popolo i
dietro scena della politica, per avere dei posti avanzati nel campo nemico,
dei posti presi nella cittadella borghese. Il deputato socialista non doveva
essere legislatore, non doveva aver nessun legame coi deputati della
borghesia, ma stare in parlamento come spettro minaccioso della rivoluzione
sociale in mezzo a coloro che vivono dei sudori e del sangue del popolo. Ma
che!... oramai si stava sulla china e bisognava andare fino in fondo. Il
partito rivoluzionario, che entrava in parlamento, doveva diventar
riformista, e lo diventò. L'emancipazione integrale, cominciarono a dire, è
una bella cosa, ma è come il paradiso: una cosa lontana lontana e che nessuno
ha mai visto. Il popolo ha bisogno di miglioramenti immediati. Meglio poco
che nulla. La rivoluzione sarà tanto più facile quanto più concessioni si
saranno strappate alla borghesia. Senza contar quelli, pochi, del resto, che
hanno saltato il fosso affermando che si può raggiungere lo scopo per
evoluzione pacifica. E s'invocò la scienza, quella povera scienza che
s'accomoda a tutte le salse, per sofisticare all'infinito sul tema evoluzione
e rivoluzione; quasi che vi fosse alcuno che neghi l'evoluzione, e la
questione non fosse piuttosto sulla specie di evoluzione, che più corrisponde
al fine socialista e che quindi i socialisti devono propugnare.
(Errico Malatesta, 1890-91)
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