Ci hanno
rimpinzato di menzogne fino a farci scoppiare. Pieni da non poterci più
muovere, è giunta l'ora di digerire la passività che ci fa dire: “le cose
stanno così, non possiamo farci niente!” La perdita della libertà dei semi è
solo una delle ultime maglie di una catena di afflizioni che ci attanaglia da
lungo tempo: la terra è di proprietà, privata della nostra azione, sottratta
alle nostre cure; l'aria ormai irrespirabile e infestata di veleni, le fonti
d'acqua spariscono e la poca che resta accaparrata e sperperata da processi
agricoli e industriali assurdi e dannosi; un cibo impoverito, nocivo e schifoso
– anche se talvolta “di qualità” – ingozza una civiltà di obesi ammalati a
scapito di milioni di malnutriti; e i rapporti interpersonali e con l'ambiente
circostante, invece di essere improntati al reciproco arricchimento, una
sequela ininterrotta di soprusi e devastazioni. «Gli agricoltori moderni hanno
bisogno di un pesticida per eliminare un insetto divenuto sterminatore perché
le piante avventizie, grazie alle quali l'insetto si nutriva e poteva vivere,
sono state eliminate dagli erbicidi, i quali sono stati introdotti per
sopprimere la sarchiatura meccanica, la quale non è più possibile a causa
dell'aumento della densità delle piantagioni, le quali sono state accresciute
perché le piante sono state selezionate per la loro produttività ad alta
densità, la quale permette di avere il massimo beneficio dall'uso massiccio dei
fertilizzanti a basso prezzo, i quali rendono le piante ancora più appetitose
per gli insetti sterminatori, e così di seguito. Ad ogni passo la ricerca
interviene, alleviando l'agricoltore dalla contraddizione immediata del sistema
di produzione che lo incatena, e naturalmente ogni soluzione provvisoria apre
nuovi mercati per le sementi, i fertilizzanti, le macchine, i diserbanti, i
pesticidi...» (J.-P. Berlan)