La cultura del
software libero non ha niente a che fare con le pratiche del sabotaggio, e solo
parzialmente con le rivendicazioni sindacali nell’ambito del lavoro. Era stata
coltivata e stava iniziando a fiorire, dapprima negli Usa, e di lì a poco in
Italia, negli ambienti di un certo marxismo radicale, ma aveva attecchito tra i
ragazzini, tra gli impiegati, tra gli hippie e gli amanti del fai da te. Nel
suo dna vi era la voglia di liberarsi da una cultura della produzione legata
alla proprietà privata, ma non esprimeva il conflitto attraverso l’antagonismo
e lo scontro frontale con il modello da cui si voleva differenziare, bensì
allontanandosene, separandosene, per dare forma a un nuovo modello basato sul
dono e la cooperazione. E parte di un processo di sviluppo delle culture
cosiddette dell’underground, ma in particolar modo delle culture del DIY, delle
autoproduzioni e della controinformazione che negli anni Sessanta e Settanta
hanno avuto una particolare esplosione. Tale cultura, figlia dunque del
Sessantotto, ma, in generale, di un percorso comunitario millenario, stava, in
senso proprio, facendosi movimento e andava per questo stroncata sul nascere.
La narrazione che ha voluto tratteggiare gli hacker come criminali, se non
luddisti, ha voluto annullare le pretese di un movimento, in parte, spontaneo,
che rischiava di mettere in discussione il paradigma della proprietà privata
nella produzione dei saperi. Purtroppo la potenza di fuoco immaginativa
dell’apparato mediale statunitense, e dei suoi addentellati nostrani, e in
grado di rendere colpa il sentimento di gioia che ti rende prossimo all’altro.
Una colpa che richiede regole ferree. Ogni qual volta si doveva invocare una
nuova legge che riportasse le nuove tecnologie nei binari della proprietà
privata, come per magia, nell’agenda dei media apparivano giovani criminali del
computer che avrebbero potuto far crollare la società, la civiltà, se non fosse
stato imbrigliato il loro agire all’interno di regole precise che, guarda caso,
riguardavano sempre, e in primo luogo, la difesa del copyright, in seconda
battuta la privacy. Un diritto privato. Un diritto, privato. Dove privato e un
verbo che indica ciò che giornalmente ci viene negato: un diritto; il diritto
di essere prossimi l’uno con l’altro, di amarsi e rispettarsi. Questa e la
regola del diritto privato nella società moderna. La regola e una legge che
priva le persone del loro diritto fondamentale. Purtroppo le questioni
retoriche poco interessano a chi perde il lavoro e a chi perde la possibilità
di sentirsi rispettato nella società. Nella prima lettera di san Paolo apostolo
ai Corinzi (15,54-58) si legge “il pungiglione della morte e il peccato e la
forza del peccato e la Legge”. Laddove san Paolo voleva criticare i Farisei
che, attraverso le loro leggi avevano dato al peccato la possibilità di
esprimersi, la critica che si vuole muovere al capitalismo e quella di avere
creato delle leggi, come quella sul copyright, che rendono l’uomo peccatore nel
momento in cui cerca di essere umano.
..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione