..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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venerdì 20 maggio 2016

Émile Henry

Émile Henry nacque il 26 settembre 1872 a Barcellona. Cresciuto in un ambiente aristocratico liberale, suo padre, comunardo ed uno dei primi comunisti francesi, fu condannato a morte dopo la repressione della Comune, ma riuscì a fuggire in Spagna dove nacque Émile e il fratello Fortuné (anche lui diverrà anarchico). Già da giovane constatò con i propri occhi le profonde ingiustizie del mondo, per questo aderì al movimento anarchico nel 1891. Influenzato probabilmente dal fratello maggiore, abbracciò l’ala più intransigente dell'anarchismo: l'anarchismo insurrezionalista.
Subito messo sotto sorveglianza dalla polizia, il 30 maggio 1892 fu fermato dopo una riunione pro-Ravachol e rilasciato dopo la perquisizione del suo domicilio. L'8 novembre 1892, Émile collocò una bomba davanti alla sede della società miniere di Carmaux, come gesto di solidarietà in favore dei minatori. La bomba fu però trovata prima che esplodesse da un poliziotto imprudente, che addirittura la portò in commissariato: fu una strage (6 morti).
Rifugiatosi immediatamente in Gran Bretagna, a Londra, ma poi rientrò clandestinamente a Parigi alla fine del dicembre 1893 ed iniziò a fabbricare esplosivi.
Nel dicembre del 1893, Auguste Vaillant fece esplodere una bomba contro la Camera dei deputati francese. L'attentato non fece alcuna vittima, ma sparse il terrore: era ormai evidente che gli anarchici potevano colpire al cuore il potere (infatti l'anno successivo Sante Caserio riuscì a far fuori il presidente Carnot pugnalandolo). Vaillant venne condannato a morte. Fu dunque per vendicarlo che Émile Henry, il 12 febbraio 1894, una settimana dopo la condanna di Vaillant, gettò una bomba al Cafè Terminus, alla Gare St. Lazare. Tentò la fuga, ma fu inseguito e catturato dalla polizia.
Il processo contro Émile Henry si tenne a Parigi ed iniziò il 27 aprile 1894. Il giudice non gli diede alcuna attenuante, che peraltro nemmeno cercava.
Orgogliosamente rivendicò le sue azioni, e rivolgendosi alla corte e alla giuria che lo condannò alla ghigliottina dichiarò:
“[…] Io sono anarchico da poco. Solo verso la metà del 1891 mi sono lanciato nel movimento rivoluzionario. Prima ero vissuto in ambienti completamente imbevuti della morale attuale. Io ero abituato a rispettare ed anche ad amare i princìpi della patria, famiglia, autorità e proprietà.
Ma gli educatori della generazione attuale dimenticano troppo frequentemente una cosa, che la vita, con le sue lotte e le sue delusioni, con le sue ingiustizie e le sue iniquità, si incarica, l'indiscreta, di aprire gli occhi agli ignoranti e di aprirli alla realtà. È ciò che mi è accaduto, come accade a tutti. Mi avevano detto che questa strada era facile e largamente aperta agli intelligenti e agli energici, e l'esperienza dimostrò che solo i cinici e le persone servili possono trovarsi un buon posto al banchetto.
Mi avevano detto che le istituzioni sociali sulla giustizia e l'uguaglianza, e non provo intorno a me e che menzogne e furberia. Ogni giorno che passava mi toglieva una illusione. Dove andavo erano testimone degli stessi dolori presso gli uni, né gli stessi godimenti presso gli altri. Dove andavo erano testimone degli stessi dolori presso gli uni, degli stessi godimenti presso gli altri. Non tardai a capire che le grandi parole e mi avevano insegnato a venerare: onore, devozione, dovere, non erano che una maschera che nascondeva le più vergognose turpitudini.
L'industriale che costruiva una fortuna colossale sul lavoro dei suoi operai i quali, invece, mancavano di tutto, era una persona onesta. il deputato, Il ministro le cui mani erano sempre aperte alle bustarelle, erano devoti al bene pubblico. L'ufficiale che sperimentava un nuovo modello di fucile sui bambini di sette anni, aveva fatto il suo dovere e, in pieno parlamento, il presidente del Consiglio gli faceva le sue felicitazioni. Tutto quello che ho visto mi spinse alla rivolta e il mio animo si dedicò alla critica della organizzazione sociale. Questa critica è stata fatta troppo spesso perché io la rifaccia. Mi basterà dire che diventa il nemico di una società che giudicavo criminale.
Attirato per un momento dal socialismo, non tardai ad allontanarmi da quel partito. Avevo troppo amore per la libertà, troppo rispetto per l'iniziativa individuale, un nell'esercito alto del quarto Stato. D’altra parte mi accorsi che, in fondo, il socialismo non cambia niente all'ordine attuale. Esso mantiene il principio autoritario, e questo principio, nonostante ciò che ne possono dire i pretesi liberi pensatori, non è che un vecchio rimasuglio della fede in una potenza superiore.
[…] Nella guerra da noi dichiarata alla borghesia non chiediamo pietà. Diamo la morte e sappiamo subirla. Per questo attendo con indifferenza il vostro verdetto. So che la mia testa non sarà l'ultima che taglierete. Aggiungerete altri morti alla lista sanguinosa dei nostri morti. Impiccati a Chicago, decapitati in Germania, garrotati a Xerès, fucilati a Barcellona, ghigliottinati a Montbrison e a Parigi, i nostri morti sono numerosi; ma voi non siete riusciti a distruggere l'anarchia. Le sue radici sono profonde. Essa è nata nel seno di una società putrefatta e vicina alla sua fine; essa è una violenta reazione all'ordine stabilito; essa rappresenta le aspirazioni di uguaglianza e libertà che distruggono l'attuale autoritarismo. Essa è dovunque. Questo la rende indomabile, per questo finirà coll'uccidervi”.
Fu condannato a morte e ghigliottinato il 21 maggio 1894 all'età di 21 anni.