..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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venerdì 6 maggio 2016

La protesta dello stomaco

Con l’intensificarsi dell’attacco dello Stato, alla fine del 1800, nelle varie città italiane dove molte erano le proteste e le lotte contro la fame e la miseria, anche la risposta degli anarchici e delle altre forze antigovernative, per nulla intimidite dalla repressione generalizzata, modificando la propria strategia, spostandosi progressivamente dal piano insurrezionale o cospirativo a quello della lotta di massa: dagli obiettivi di carattere politico ed istituzionale si passa così a quelli di carattere economico e rivendicativo, quali il miglioramento delle condizioni di vita e la conquista di nuovi diritti.
Dopo varie dimostrazioni in molte città italiane, che registrano l’abituale e luttuoso corollario di morti, anche a Milano l’8 maggio 1898 parte quella che Napoleone Colajanni, leader dei fasci siciliani, definì la “protesta dello stomaco”, che vede migliaia di cittadini manifestare per le strade del capoluogo lombardo per ottenere la riduzione del prezzo del pane, arrivato a livelli insostenibili per le loro povere tasche.
Come, e più di altre volte, lo Stato risponde in modo brutale, sparando sulla folla inerme con i cannoni. Ad eseguire gli ordini impartiti da Casa Savoia (dal cosiddetto “re buono” Umberto I), fu lo scrupoloso generale Fiorenzo Bava Beccarsi.
Eseguita la mattanza, il “buon”re Umberto I di Savoia consegnò una medaglia e la massima onorificenza, la Croce di Grande Ufficiale dell’Ordine dei Savoia, al fedele generale Bava Beccarsi, premiandolo così per la carneficina compiuta. Il generale aveva reso un “grande servizio alle istituzioni”.
Così notificava il re:
“Al Regio Commissario Straordinario Tenente Generale F. Bava Beccarsi
Roma, addì 5 giugno, ore 23,30
Ho preso in esame la proposta delle ricompense presentatemi dal Ministro della Guerra a favore delle truppe da Lei dipendenti, e col darvi la mia approvazione fui lieto ed orgoglioso di onorare la disciplina, l’abnegazione e il valore di cui esse offersero mirabile esempio.
A Lei poi personalmente volli conferire di motu proprio la Croce di Grande Ufficiale dell’Ordine dei Savoia, rimeritando il grande servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civiltà e perché Le attesti col mio affetto la riconoscenza mia e della patria.”
In quei giorni a Milano ci furono oltre un centinaio di morti, quattrocentocinquanta i feriti, c le condanne inflitte dai tribunali militari, condanne a pioggia per più di mille e quattrocento anni di carcere inflitti non solo agli organizzatori, ma anche ai tantissimi semplici cittadini incappati nelle retate senza aver commesso nulla.
Bava Beccarsi aveva reso un “grande servizio alle istituzioni”; Umberto era stato “orgoglioso di onorare” il suo carnefice. Uno sconosciuto tessitore di Prato emigrato a Paterson, nel New Jersey, aveva deciso di intervenire, da par suo, nel dibattito; il suo nome era Gaetano Bresci.
Pubblicava così “La Questione Sociale” nel dicembre del 1898:
“Al popolo lavoratore.
Ci rivolgiamo a te, o popolo, che la miseria cacciò lontano dal tuo paese e spinse qui attraverso l’Oceano, a lottar contro altra miseria non meno dura e non meno triste. Ci rivolgiamo a te che soffri, a te che sei sfruttato dai padroni e oppresso dai governi, a te che potresti essere libero e felice, che hai la forza di esserlo, solo che tu lo voglia, e che pur non lo vuoi.
I tuoi fratelli d’Italia e d’Europa sono ormai arrivati al colmo delle sofferenze. Ridotti a morir di fame, quando essi – spinti dalla disperazione – vollero ribellarsi contro la tirannia che li dissanguava, fu loro risposto con la mitraglia e colle stragi. Ed ora su tutto il bel paese grava il lutto della repressione feroce, selvaggia,, che non ha nemmeno il pudore della moderazione.
[...] Tu, o popolo lavoratore, pur vivendo lontano da essi, pur avendo forse rinunziato a ogni speranza di rivedere il luogo che ti vide nascere, non devi lasciare in abbandono i tuoi fratelli che lottano. Poiché la loro causa è anche la tua, e ogni vittoria ch’essi otterranno sarà la tua vittoria e il tuo trionfo.
[…] Noi vogliamo che – insorgendo – egli abbia sin d’ora innanzi agli occhi l’ideale luminoso di società avvenire nella quale egli potrà trovare la più completa espansione della sua libertà.”
Il resto è storia.