Avete sentito parlare di anarchismo come
una diavoleria medievale di cospiratori cavernicoli, dinamitardi, sanguinari,
spietati, negatori e disprezzatori di tutto ciò che può costituire un valore
morale della vita. Ma l'anarchico è costituzionalmente ed è essenzialmente un
non violento, anche se taluno può aver fatto gratuitamente, quanto
spropositatamente, l'apologia della violenza. Questa è il momento passionale
della reazione; essa è inevitabile come la reazione. Non solo, ma talvolta è
sacra come il diritto alla vita. E le sue conseguenze ricadono sulla
responsabilità di chi ne è stato la causa.
La violenza è madre di violenza. E
alcune volte è sacra, dicevo. Sacra è stata la violenza dei partigiani contro i
nazi-fascisti; sacra è stata la violenza dei popoli colonizzati contro i
colonizzatori, sacra è la violenza di un popolo che vuole liberarsi dai
tiranni, dagli oppressori e dai dittatori; sacra sarà ogni violenza capace di
evitare un male maggiore di quello che essa stessa costituisce. Ma il tema
della violenza non rientra in quello dell'anarchismo, bensì interessa il raggio
più ampio della storia e della legge dell'antagonismo insito nella natura di
tutte le cose. Noi anarchici, anzi, siamo tali in quanto negatori della
violenza su cui si basa a tutt'oggi la società umana.
Le favole inventate sul conto degli
anarchici e quel certo alone di timore che ancora ci circonda sono un documento
storico della criminalità dell'umanità inferiore, manifestatesi attraverso i
criteri di governi e di polizie che trovano leciti, legittimi e legali i mezzi
della malafede, della menzogna, della calunnia e del bavaglio per colpire chi
costituisce una minaccia perenne per chi vive di parassitismo, di rendite sulle
refurtive sociali.
La violenza può essere contro-violenza,
espressione di legittima difesa e di coraggio che irrompe anche col rischio
della vita. Non credete che strappare un debole dalle mani di chi lo aggredisce
sia un bisogno spirituale, prima che un dovere di protezione verso se stesso? Il
bene e il male fatto agli altri ritornano indirettamente su noi stessi. Ogni
azione è come una pietra gettata sulla superficie di uno stagno in cui siamo
sommersi: le onde circocentriche, anche se diventate impercettibili, ci
raggiungono prima o poi. Ebbene, non è diverso il sentimento di chi vuole
strappare gli indifesi (o se stesso) all'oppressione, allo sfruttamento ed al
sarcasmo dei padroni. Vi è un'esplosione dell'azione liberatrice e
vendicatrice, tanta passione e tanta poesia quanto basta per dire all'uomo che
la solidarietà dei suoi simili non è morta e che egli ha motivo di sperare e di
riconciliarsi con la vita.
Vero è che l’anarchismo ha fatto il suo
ingresso nella storia "ufficiale" con scoppio di bombe, ma ciò va
inquadrato e spiegato nella situazione politica del tempo. Vi era da un lato
una repressione sistematica e spietata, da parte della polizia, di chiunque
semplicemente si proclamasse anarchico o fosse sospettato d'esserlo, ma nel
caso specifico, si tratta comunque di "note singole e singolari" che
non conferiscono la fisionomia dell'ideologia anarchica. Non solo, ma anche
l'idea "anarchica" ha avuto il suo progresso di maturazione ed oggi
essa si può presentare scevra da ogni infantilismo d'origine. La violenza
fisica è solo un episodio marginale, individuale e contingentale
dell'anarchismo e non mai una posizione sistematica di principio, che è propria
di un movimento specificamente terroristico.
D'altronde recita una canzone anarchica
(La ballata del Pinelli):
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[…]
Anarchia
non vuol dire bombe
ma
uguaglianza nella libertà
[…] »
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