C'è nella città, segnatamente nelle
grandi, una specie di viventi, che stanno fra la borghesia e il proletariato, e
non appartenendo propriamente né a questa né a quella classe, sono veri enti
fuori-classe: decasses li chiamano in
Francia, o bohemes, ovvero, secondo
l'espressione di Jules Vallès, refrattarii;
in Italia si chiamano spostati.
Orbene: è degno di nota che fra costoro non ci sono vere e genuine
associazioni, precisamente come non ci sono fra i proletari delle campagne:
punto di rassomiglianza da non dimenticarsi mai! Sotto codesto aspetto il
boheme è il contadino delle città.
Donde traggono questi spostati il loro
peculiare carattere distintivo? Lo traggono, ci pare, dall'accozzamento di
varii e disparati elementi: un po’ dalla classe da cui escono sdegnosi, un po’
dalla classe a cui si accostano per simpatia. Scienti od inscienti, in fondo
sono socialisti …. non associati! C'è qualche cosa in essi che ha
dell'enigmatico, del nebuloso. Perchè infatti, non è un individualismo accompagnato
a tendenze socialistiche? Badiamo però ad una cosa: ed è che cotesti
individualisti, in generale, sono del resto tutt’altro che egoisti: amano il
piacere, ma sentono istintivamente e con molta vivacità anche la solidarietà morale della sventura, e i loro passi
corrono ovunque c'è il tramestio e la lotta delle sofferenze: sono palle di
moschetto che fischiano e divorano gli spazii, ma non sono - come si direbbe in
stile guerresco - palle incatenate l'una all'altra: scorazzano dispersi,
sbrigliati, scapigliati, ma se per caso giungono a costituire qualche squadra
volante, allora guai ai pellottoni che loro stanno di fronte!
I loro nidi prediletti sono i grandi
centri cittadineschi.
Il più moderno interprete delle loro
anime frastagliate è Giulio Vallès.
Ma che razza di socialismo può essere,
quello di costoro? mi domanderete voi.
É un socialismo negativo. Sbarazzano a
modo loro, le vie, sulle quali poi correrà più spedita la locomotiva del
progresso e con essa le associazioni emancipatrici; ma essi però non si
associano; forse lo faranno in seguito. E invero: perchè essi dovrebbero
associarsi? Hanno capitali da tutelare o da far fruttare essi? Ma non vedete
che sono in fallimento permanente? Hanno forse legittimi diritti politici da
esercitare o da difendere? Ma che! la loro politica è tutta illegittima: di
legittimo non hanno che l'avvenire; di esercibile non hanno che la speranza. A
loro manca perfino, come simbolo per associarsi, una determinata che li
sfrutti: ognuno di essi si sente sfruttato, ma il loro sfruttatore è un ente
che oggi è qui, domani è là; è un qualche cosa di indefinito che sfugge sempre
e non si può acchiappar mai: finiscono allora naturalmente coll'odiare ciascuno
per conto suo la società, questo quid
impersonale e tiranno, che li molesta, li importuna, li bistratta, e che
scivola continuamente dalle loro mani come un'anguilla.
Potrebbero però associarsi in circoli
di divertimenti!
Meno che meno! Come si fa ad ammassare
il denaro delle ricreazioni, delle veglie, dei festini colla siccità quasi
perenne delle loro tasche?
V'ha chi li crede spensierati e
gaudenti. È un errore d'apparenza. Le loro ricreazioni, le loro veglie, i loro
festini non saranno mai i passatempi ove tutto va col figurino, col compasso
dell'etichetta, coll’abbecedario diplomatico. In disciplinabili per natura,
hanno tutte le audacie, tranne quella dell'oro.
Ma essi sono istruiti; e se si
associano agli scienziati, perché questi proletarii del pensiero non possono
associarsi anch'essi? Sta bene l'istruzione: ma qual è l'istruzione e la
scienza di questi paria della penna? É la scienza che non ha leggi scolastiche,
è la scienza che non ha disciplina, è la scienza che fugge dalle Università e
dalle Accademie come da tante prigioni I professori possono benissimo sotto
l'accettata influenza delle leggi accademiche addentellarsi l'uno all'altro e
formar corpo, ma come lo possono questi sbrigliati, la di cui istruzione è un
mugolo d'idee in balia ai quattro venti? Un congresso, di dottori lo si
capisce: c'è un campanello autoritario a cui si obbedisce: c'è una tesi
accademica; c'è una tradizione da rispettare; ci sono i paracarri per non
sviare; si discute con tutto l'attiraglio parlamentare; si propongono
emendamenti; si lima; si arrotonda; si transige; si castra; si vota; si dogmatizza
a colpi di maggioranza e la maggioranza ha sempre ragione, anche quando ha
torto. Ma coi refrattarii tutto ciò è
impossibile: un loro congresso sarebbe un, turbinìo. Chi avrebbe la faccia da
imporsi coll'autorità a capo? Questi refrattarii
non si commuovono rispettosi e obbedienti che a una sola campana alla
campana a stormo.
Le loro tesi nascono mai sui tappeti
verdi, ma scattano dall'anima e vanno a librarsi negli spazii del cielo come
stelle, e per discuterle, bisogna prima dar loro la scalata come ad un' alta
rocca e prenderle d'assalto. La loro tradizione è quella dei Titani e di
Luciferi. Come l'aquila, essi non conoscono vie tracciate. La vaporiera che
striscia sulla superficie della terra è di già diventata per essi un regresso:
figuratevi ora cosa può essere per costoro il pesante carriaggio delle
Accademie. Exoelsior! excdsior! è il
loro grido. Se si riuniscono è unicamente per trovarsi insieme attorno a una
specie di fuoco sacro e per scaldare
alla sua fiamma le forze intirizzite al contatto della gelida società, in mezzo
alla quale sono pur costretti a vivere. Il solo emendamento possibile per tutti
loro è l'emendamento che va addirittura alle radici. La votazione non la fanno
fra essi le palle bianche o le palle nere: non ce n'è bisogno: essa è già
fatta, e da tempo, dal sentimento della loro irritata esistenza.
Ma se essi sono poveri come gli operai,
perchè, come gli operai, non si sforzano di migliorare coll’associazione la
loro sorte?
Migliorare la loro sorte! … É certo che
d'un miglioramento hanno bisogno, come d'un miglioramento hanno bisogno gli
operai, ma il miglioramento di questi ultimi ha, per cosi dire, dei criteri
positivi, determinati, fissi. Gli operai non foss’altro, sanno d'onde
cominciare: possono domandare meno ore di lavoro, maggior salario, e un po’
d'istruzione. Ma non è così per i bohemi,
per questi poveri zingari dell' intelligenza. Dov’è essi possono trovare il
perno attorno a cui avvolgere la fila di associazione? Nel salario? Ma essi, o
non sono salariati, o i loro salari non si ripartiscono a categorie e quindi
non offrono basi uniformi per costituirvi sopra delle associazioni.
L'istruzione forse? Ma essi l'hanno e talora è perfìn soverchia, ma disordinata
sempre. Faranno questione d'orario? Ma di che? Del resto, per essi il tempo
ordinariamente non ha misura: oggi vola rapido e vivace come il vento; domani è
lungo, infinito, Come quello della fame; doman l'altro si immobilizza nello
sbadiglio, nel languore, nella noia. Tutto cospira per mantenerli sbrancati
come cervi … e pericolosi come leoni.
Osvaldo Gnocchi-Viani
Tratto da “Cronaca
sovversiva (Barre,
Vermount, U.S.A.), 25 giugno 1904”