..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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giovedì 30 giugno 2016

I refrattari

C'è nella città, segnatamente nelle grandi, una specie di viventi, che stanno fra la borghesia e il proletariato, e non appartenendo propriamente né a questa né a quella classe, sono veri enti fuori-classe: decasses li chiamano in Francia, o bohemes, ovvero, secondo l'espressione di Jules Vallès, refrattarii; in Italia si chiamano spostati. Orbene: è degno di nota che fra costoro non ci sono vere e genuine associazioni, precisamente come non ci sono fra i proletari delle campagne: punto di rassomiglianza da non dimenticarsi mai! Sotto codesto aspetto il boheme è il contadino delle città.
Donde traggono questi spostati il loro peculiare carattere distintivo? Lo traggono, ci pare, dall'accozzamento di varii e disparati elementi: un po’ dalla classe da cui escono sdegnosi, un po’ dalla classe a cui si accostano per simpatia. Scienti od inscienti, in fondo sono socialisti …. non associati! C'è qualche cosa in essi che ha dell'enigmatico, del nebuloso. Perchè infatti, non è un individualismo accompagnato a tendenze socialistiche? Badiamo però ad una cosa: ed è che cotesti individualisti, in generale, sono del resto tutt’altro che egoisti: amano il piacere, ma sentono istintivamente e con molta vivacità anche la solidarietà morale della sventura, e i loro passi corrono ovunque c'è il tramestio e la lotta delle sofferenze: sono palle di moschetto che fischiano e divorano gli spazii, ma non sono - come si direbbe in stile guerresco - palle incatenate l'una all'altra: scorazzano dispersi, sbrigliati, scapigliati, ma se per caso giungono a costituire qualche squadra volante, allora guai ai pellottoni che loro stanno di fronte!
I loro nidi prediletti sono i grandi centri cittadineschi.
Il più moderno interprete delle loro anime frastagliate è Giulio Vallès.
Ma che razza di socialismo può essere, quello di costoro? mi domanderete voi.
É un socialismo negativo. Sbarazzano a modo loro, le vie, sulle quali poi correrà più spedita la locomotiva del progresso e con essa le associazioni emancipatrici; ma essi però non si associano; forse lo faranno in seguito. E invero: perchè essi dovrebbero associarsi? Hanno capitali da tutelare o da far fruttare essi? Ma non vedete che sono in fallimento permanente? Hanno forse legittimi diritti politici da esercitare o da difendere? Ma che! la loro politica è tutta illegittima: di legittimo non hanno che l'avvenire; di esercibile non hanno che la speranza. A loro manca perfino, come simbolo per associarsi, una determinata che li sfrutti: ognuno di essi si sente sfruttato, ma il loro sfruttatore è un ente che oggi è qui, domani è là; è un qualche cosa di indefinito che sfugge sempre e non si può acchiappar mai: finiscono allora naturalmente coll'odiare ciascuno per conto suo la società, questo quid impersonale e tiranno, che li molesta, li importuna, li bistratta, e che scivola continuamente dalle loro mani come un'anguilla.
Potrebbero però associarsi in circoli di divertimenti!
Meno che meno! Come si fa ad ammassare il denaro delle ricreazioni, delle veglie, dei festini colla siccità quasi perenne delle loro tasche?
V'ha chi li crede spensierati e gaudenti. È un errore d'apparenza. Le loro ricreazioni, le loro veglie, i loro festini non saranno mai i passatempi ove tutto va col figurino, col compasso dell'etichetta, coll’abbecedario diplomatico. In disciplinabili per natura, hanno tutte le audacie, tranne quella dell'oro.
Ma essi sono istruiti; e se si associano agli scienziati, perché questi proletarii del pensiero non possono associarsi anch'essi? Sta bene l'istruzione: ma qual è l'istruzione e la scienza di questi paria della penna? É la scienza che non ha leggi scolastiche, è la scienza che non ha disciplina, è la scienza che fugge dalle Università e dalle Accademie come da tante prigioni I professori possono benissimo sotto l'accettata influenza delle leggi accademiche addentellarsi l'uno all'altro e formar corpo, ma come lo possono questi sbrigliati, la di cui istruzione è un mugolo d'idee in balia ai quattro venti? Un congresso, di dottori lo si capisce: c'è un campanello autoritario a cui si obbedisce: c'è una tesi accademica; c'è una tradizione da rispettare; ci sono i paracarri per non sviare; si discute con tutto l'attiraglio parlamentare; si propongono emendamenti; si lima; si arrotonda; si transige; si castra; si vota; si dogmatizza a colpi di maggioranza e la maggioranza ha sempre ragione, anche quando ha torto. Ma coi refrattarii tutto ciò è impossibile: un loro congresso sarebbe un, turbinìo. Chi avrebbe la faccia da imporsi coll'autorità a capo? Questi refrattarii non si commuovono rispettosi e obbedienti che a una sola campana alla campana  a stormo.
Le loro tesi nascono mai sui tappeti verdi, ma scattano dall'anima e vanno a librarsi negli spazii del cielo come stelle, e per discuterle, bisogna prima dar loro la scalata come ad un' alta rocca e prenderle d'assalto. La loro tradizione è quella dei Titani e di Luciferi. Come l'aquila, essi non conoscono vie tracciate. La vaporiera che striscia sulla superficie della terra è di già diventata per essi un regresso: figuratevi ora cosa può essere per costoro il pesante carriaggio delle Accademie. Exoelsior! excdsior! è il loro grido. Se si riuniscono è unicamente per trovarsi insieme attorno a una specie di fuoco sacro e per scaldare alla sua fiamma le forze intirizzite al contatto della gelida società, in mezzo alla quale sono pur costretti a vivere. Il solo emendamento possibile per tutti loro è l'emendamento che va addirittura alle radici. La votazione non la fanno fra essi le palle bianche o le palle nere: non ce n'è bisogno: essa è già fatta, e da tempo, dal sentimento della loro irritata esistenza.
Ma se essi sono poveri come gli operai, perchè, come gli operai, non si sforzano di migliorare coll’associazione la loro sorte?
Migliorare la loro sorte! … É certo che d'un miglioramento hanno bisogno, come d'un miglioramento hanno bisogno gli operai, ma il miglioramento di questi ultimi ha, per cosi dire, dei criteri positivi, determinati, fissi. Gli operai non foss’altro, sanno d'onde cominciare: possono domandare meno ore di lavoro, maggior salario, e un po’ d'istruzione. Ma non è così per i bohemi, per questi poveri zingari dell' intelligenza. Dov’è essi possono trovare il perno attorno a cui avvolgere la fila di associazione? Nel salario? Ma essi, o non sono salariati, o i loro salari non si ripartiscono a categorie e quindi non offrono basi uniformi per costituirvi sopra delle associazioni. L'istruzione forse? Ma essi l'hanno e talora è perfìn soverchia, ma disordinata sempre. Faranno questione d'orario? Ma di che? Del resto, per essi il tempo ordinariamente non ha misura: oggi vola rapido e vivace come il vento; domani è lungo, infinito, Come quello della fame; doman l'altro si immobilizza nello sbadiglio, nel languore, nella noia. Tutto cospira per mantenerli sbrancati come cervi … e pericolosi come leoni.
Osvaldo Gnocchi-Viani
 Tratto da “Cronaca sovversiva (Barre, Vermount, U.S.A.), 25 giugno 1904”