Bruno Misefari nacque a Palazzi (Reggio
Calabria). Aderì assai giovane al Partito Socialista e, tra il 1910 e il 1912,
all’anarchismo. Nel 1911 fu arrestato per avere diffuso un manifestino contro la
guerra di Libia e nel 1912 fu condannato a due mesi e mezzo di carcere. Allo
scoppio della prima guerra mondiale fu assegnato al 40° Reggimento di fanteria
a Benevento. Lo si teneva relegato in caserma e non lo si inviava al fronte per
paura che le sue idee contagiassero gli altri commilitoni, da cui era molto
stimato. Nel 1916 disertò e nel 1917 raggiunse la Svizzera. Nel 1918 fu
arrestato dalla polizia svizzera, con numerosi altri compagni , col pretesto di
un complotto inesistente, e restò in carcere per sette mesi. Espulso dalla Svizzera,
tornò in Italia dove fu assai attivo durante il biennio rosso. Divenuto
ingegnere, le sue opere di notevole utilità sociale furono sistematicamente
ostacolate dal regime fascista. Nel 1931 fu inviato al confino a Ponza e poi
nuovamente in carcere, dove sposò la sua compagna Pia Zanolli, a cui fu legato
da un profondo affetto sino alla sua morte, nel 1936, per un tumore al
cervello.
Di seguito un suo scritto tratto dal suo
libro: Diario di un disertore.
“Sì, sono un traditore della patria. Ho
tradito le leggi statali, ho tradito gli interessi dell’Alta Banca
Internazionale, trafficante sulla guerra per l’aumento dei suoi dividendi
fantastici. Ho tradito le leggi di odio, di morte, di corruzione, di vergogna:
leggi antisociali, antiumane, antinaturali. Le ho tradite per non tradire la
grande e fondamentale legge dell’amore universale, la solidarietà umana, che è
l’unica legge comprensibile, perché umana, sociale e naturale. Mi sono
sottratto alla morte di stato per dare la morte allo stato. È una lotta ardua
poiché sono solo e debole, e lo stato ha tutto con sé ed è forte. Sono un
traditore ma non un vile. Chi è vile non insorge contro lo stato. Guai per la
vita della specie se gli individui disobbediscono alle leggi sociali e umane
della natura per obbedire a quelle dei poteri che congiurano, insidiano,
uccidono la vita della specie. Senza questa umanissima rivolta alle leggi di
odio e di morte, la specie perirebbe fatalmente. Quando la giustizia non sarà
come oggi la druda infame delle tirannidi, quando l’amore non sarà deriso,
quando l’oro non sarà Dio, quando la libertà sarà religione e unica nobiltà il
lavoro, solo allora il mio rifiuto alla guerra sarà benedetto perché ho lottato
alla salvezza di tutti, per la conservazione della vita organica e morale della
specie. Imbecilli della mia epoca, chinate la fronte. E voi giovani di anni e
di fede inalberate il vessillo della rivolta, rivendicate il diritto alla vita
che è pane, amore e libertà! Distruggete tutte le forze antinaturali,
antisociali e anti umane. È questione di vita o di morte. O vivono loro o
vivete voi. Non esistono accomodamenti. Tra voi e loro esiste un abisso. Chi
vuol mettervi un ponte vi precipita dentro. Viva l’umanità e muoia la patria,
cioè muoiano il capitale e lo stato!”