Nel regno del consumo, il cittadino è
re. Una regalità democratica: uguaglianza davanti al consumo, fratellanza nel
consumo, libertà secondo il consumo. La dittatura del consumabile ha completato
la liquidazione delle barriere di sangue, di lignaggio o di razza; converrebbe
rallegrarsene senza riserve se con la logica delle cose essa non avesse bandito
ogni differenziazione qualitativa, per non tollerare fra i valori e le persone
che delle differenze di quantità.
Tra chi possiede molto e chi possiede
poco, ma sempre di più, la distanza non è cambiata, ma i gradi intermedi si
sono moltiplicati, in qualche modo avvicinando gli estremi, dirigenti e
diretti, a uno stesso centro di mediocrità. Essere ricchi si riduce oggi a
possedere un gran numero di oggetti poveri.
I beni di consumo tendono a non avere
più valore d’uso. La loro natura è di essere consumabili ad ogni prezzo. E come
spiegava molto sinceramente il generale Dwight Eisenhower, l’economia attuale
non può salvarsi che trasformando l’uomo in consumatore, identificandolo alla
più grande quantità possibile di valori consumabili, vale a dire di non-valori
o di valori vuoti fittizi, astratti. Dopo essere stato il capitale più
prezioso, secondo la felice espressione di Stalin, l’uomo deve divenire il bene
di consumo più apprezzato.
L’immagine, lo stereotipo della vedette,
del povero, del comunista, dell’omicida per amore, dell’onesto cittadino, del
ribelle, del borghese, si appresta a sostituire all’uomo un sistema di
categorie meccano-graficamente ordinate secondo la logica irrefutabile della
robotizzazione. Già la nozione di teen-ager tende a confondere l’acquirente al
prodotto acquistato, a ridurre la sua varietà a una gamma variata ma limitata
di oggetti da vendere. Non si ha più l’età del cuore o della pelle, ma l’età di
ciò che si acquista. Il tempo di produzione che, si diceva, è denaro, si avvia
a diventare, misurandosi al ritmo di successione dei prodotti acquistati,
usurati, buttati, un tempo di consumo e di consunzione, un tempo di
invecchiamento precoce, che è l’eterna giovinezza degli alberi e delle pietre.
Lavorare per sopravvivere, sopravvivere
consumando e per consumare, il ciclo infernale si è chiuso. Sopravvivere è nel
regno dell’economismo, insieme necessario e sufficiente. È la verità prima che
fonda l’era borghese. Ed è vero che una tappa storica fondata su una verità
così antiumana non può che costituire una tappa di transizione, un passaggio
dalla vita oscuramente vissuta dei signori feudali alla vita razionalmente e passionalmente
costruita dei signori senza schiavi. Restano non molti anni per impedire che
l’era transitoria degli schiavi senza padroni duri due secoli.