Quanta carta dovremo ancora riempire, e quante parole dovremo ancora
spendere per cercare di convincere tutti e tutte che la liberazione animale non
può essere un’opzione, ma è invece una necessità? Com’è possibile parlare di libertà,
senza includere tra gli oppressi tanti esseri senzienti, coscienti di sé, capaci
di provare dolore e piacere, e di scegliere tra dolore e piacere?
La libertà è libertà: o è per tutti, oppure non è. In questo senso l’antispecismo,
la lotta per la liberazione animale, è la più alta pratica e forma di libertà. Come
si sa, l’emancipazione non può in alcun modo coincidere con il potere: l’una esclude
l’altro e viceversa. Porsi dalla parte del potere dunque, rivendicando al contempo
la libertà, altro non produce che contraddizioni teoriche e nelle pratiche di lotta.
A tal proposito, è evidente che ogni specista si pone dalla parte del potere; perché
dunque escludere tutti quegli anarchici e anarchiche specisti che confondono la
liberazione umana con quella totale, dunque per tutti? No, cari compagni e care
compagne: lo specismo è potere e l’antispecismo anarchico combatte contro ogni forma
di dominio e di sfruttamento. Il potere dello specismo si costituisce a partire
dalla possibilità di riconoscere o non riconoscere, su base assolutamente discrezionale,
la libertà anche agli animali non umani. Lo specismo infatti altro non è che un
potere istituzionale, legale, tribunalesco e fortemente tradizionalista secondo
cui la possibilità di disporre della vita di miliardi di soggetti non umani in tutto
il mondo diviene la normalità e ogni altra possibilità una mera alternativa. Sulla
base di ciò il potere specista risiede proprio in quella libera discrezionalità
la quale legittima l’animale umano a decidere nei confronti di chi e quando il diritto
a non soffrire può essere riconosciuto all’animale non umano. Volendo trasporre
questo potere in metafora – la quale, a dire il vero, è molto meno che una semplice
metafora –, è come se ognuno di noi avesse un fucile puntato alle spalle e da un
momento all’altro, in base alle sue volontà, un cecchino potesse decidere di sparare
o risparmiarci. Cosa ancora più paradossale, però, è che in tutti quegli istanti
in cui il cecchino decide di non sparare, dovremmo essergli grati perché la normalità
è nello sparo, l’alternativa è nel risparmiarci. Bene, l’antispecismo non è l’alternativa
di niente (mettiamocelo bene in testa!), ma molto semplicemente l’antispecismo,
quale può intenderlo un anarchico, è la libertà totale nei confronti di tutti, indipendentemente
dall’appartenenza di specie e di genere. Nicholas Tomeo si chiedeva qual è il confine
che legittima l’anarchismo specista e non l’anarchismo nazionalista, posto che entrambi
si reggono su discriminazioni sulla base di differenze di appartenenza, seppur diverse
sono le vittime. Potrei porre la stessa domanda in riferimento a qualsiasi tipo
di sfruttamento, sia esso sessista, classista, schiavista, colonialista o più in
generale capitalista.
La domanda è posta leggendo la realtà dei fatti: le lotte per la liberazione
totale sono inevitabilmente identiche perché le stesse sono le basi su cui poggiano
oggi tutti i domini.
Lo specismo, o meglio lo sfruttamento animale, non regge da nessun punto
di vista, e ogni teoria che cerchi di giustificarlo appare inesorabilmente insufficiente
e artificiosa. Che si prenda a pretesto la tradizione, la storia, la biologia, la
medicina, l’antropologia o le scienze umane, lo sfruttamento animale è sempre e
comunque contestabile e fragile in tutte le sue argomentazioni.
La necessità di un confronto serio sull’argomento all’interno del movimento
anarchico italiano e internazionale è più che necessario perché la discussione non
è di poco valore, tutt’altro: qui si sta discutendo di quale significato vogliamo
dare alla nostra idea e alle nostre pratiche di libertà. Discutere in questo senso
di libertà e della sua accezione, non coinvolge solo il fine, ma anche i mezzi che
vogliamo adoperare per arrivare alla costruzione di una società libertaria. Perciò,
in tal senso, posto che in un futuro dove la convivenza pacifica, costruttiva e
collaborativa tra gli esseri risulterà come logica e ordinaria, innegabilmente ci
saranno forti divisioni se non si discute già da adesso del significato che vogliamo
attribuire alla libertà che perseguiamo perché nessun antispecista sarà disposto
a vivere in comunità “orizzontali” dove anche un solo animale non umano continuerà
ad essere dominato, sfruttato e schiavizzato e dove la libertà e il diritto ad essere
libero dalla sofferenza andrà solo a vantaggio della specie umana.