La tolleranza ha, dunque, due piani di possibilità: quello intellettuale
e quello morale. Quanto al primo è tollerante colui che conoscendo il valore dello
scambio di idee, della loro fusione o contrasto, non respinge aprioristicamente
le ideologie altrui, ma si accosta ad esse e tenta penetrarle; per trarne ciò che
vi è di buono.
Questa tolleranza è abbastanza frequente fra le persone colte e chi prova
l’assillo del pensiero riesce ad acquistarne l’abito. La naturale conseguenza di
questa tolleranza sarà il rispetto per qualsiasi espressione di qualsiasi credo
religioso, filosofico, estetico.
Quanto al secondo è tollerante colui che, pur avendo fede in un gruppo
di principi e sentendo profondamente la passione di parte, comprende che altri,
per il loro carattere, per l’ambiente in cui vivono, per l’educazione ricevuta,
ecc., non partecipa alla sua fede e alla sua passione. La distinzione tra il male
e il malvagio, tra la tirannide e gli oppressori è scolastica, e chi concepisce
la vita come lotta per il bene e per la libertà deve combattere coloro che intralciano
la sua opera di redenzione. Ma il suo spirito, pur negando come formalistica la
distinzione sopracennata nei riguardi del problema morale dell’azione, giunge a
combattere senza l’odio bruto che non sa la pietà e non aspira ad un mondo in cui
la violenza non sia più necessaria.
Tolleranza, dunque, non è scetticismo intellettuale né apatia morale.
Parrà ad alcuno che, dati i tempi che corrono e data la nostra condizione
di vinti, sia inutile e fors’anche fuori di luogo il trattare della tolleranza.
Mi pare, invece, proprio questo il momento opportuno. L’intolleranza degli altri
ci mostra la sua faccia briaca. Guardiamola, prima che la bufera trascini anche
noi.
I fascisti che bruciano i giornali di opposizione sono, per lo più quegli
stessi sovversivi che non leggevano che i giornali del proprio partito e ci giuravano
sopra. I fascisti che fanno a pezzi le bandiere rosse sono, per lo più, quelli che
non volevano che i preti suonassero le campane, che disturbavano le processioni,
che offendevano gli ufficiali, ecc. Là dove l’ineducazione sovversiva era maggiore
il fascismo s’è sviluppato prima e più largamente. Perché l’intolleranza della violenza
spicciola è il portato della miseria e grettezza intellettuale e di una scarsa e
deviata sensibilità morale.
Che cosa hanno fatto i dirigenti dei partiti di sinistra per combattere l’intolleranza
bruta? Ben poco. Erano quasi tutti tribuni.
E il tribuno è il servo della folla.
L’intolleranza cieca e brutale ha disperso in mille sensi l’energia aggressiva
delle avanguardie. Invece di concentrarsi sui punti vitali delle difese borghesi
e statali s’è divisa e suddivisa in piccole azioni sporadiche.
Piccoli fuochi di paglia, bastanti a svegliare il cane di guardia ed
insufficienti a dar fuoco alla casa. Bisogna che i rivoluzionari coscienti non si
lascino intenerire dalle violenze inutili, dalle malvagità. La rivoluzione è una
guerra, e chi l’accetta non può perdersi dietro all’episodio singolo. Ma in un periodo
pre-rivoluzionario è necessario che la tolleranza dei coscienti costringa per quanto
può la violenza acefala nei limiti di un’azione diretta contro nemici reali e in
un periodo post-rivoluzionario è necessario che i tolleranti intervengano contro
le inutili e vili rappresaglie, che servirebbero di pretesto alla dittatura.
La tolleranza è un concetto squisitamente nostro, quando non si intenda
con questo termine il menefreghismo.
L’anarchia è la filosofia della tolleranza.