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mercoledì 13 ottobre 2021

Dare un senso alla nostra inquietudine

Libertà! Libertà! si grida nelle piazze mobilitate contro l’obbligo vaccinale e contro il green pass, piazze impropriamente e strumentalmente definite dai media “no vax”, dandole un connotato omogeneo e ideologico che in realtà non hanno.

Intanto sotto lo sguardo dei cosiddetti organi di informazione c’è quasi sempre quella di Roma, dove in prima linea ci sono i fascisti di Casa Pound o di Forza Nuova, anch’essi lì a innalzare bastoni e gridare minacciosamente “Liberta!”. Raramente si dà spazio alle altre centinaia di piazze che si autoconvocano in maniera più spontanea e, se si vuole, anche più confusa.

Facendoci un salto, anche solo per curiosità, si noterebbe come quelle migliaia di persone siano difficilmente etichettabili; come ognuno abbia una propria idea di libertà che indossa su misura rispetto alle proprie convinzioni; come nella massa ci possano essere sì, anche soggetti dalle idee ben chiare riguardo la libertà di assoggettarsi a una dittatura di tipo fascista o populista-sovranista, piuttosto che perire sotto una “dittatura sanitaria”; ma anche come ve ne siano di orientamento diametralmente opposto, per non dire contrapposto e persone che manifestano - magari per la prima volta nella loro vita - una insofferenza al sistema del controllo e delle imposizioni infinite.

Fino ad ora non è che sia emersa una terza via - o quanto meno una chiara terza via - tra chi protesta e chi invece accetta l’escalation di regole restrittive che i governi stanno calando sulle società con metodi che non sono né chiari né trasparenti, e con l’ausilio dei ricatti e della paura.

Si potrà anche non voler mischiarsi con chi scende in piazza, e si potrà anche accettare liberamente i diversi provvedimenti “sanitari”, ma credo profondamente che non si possa non schierarsi, senza se e senza ma, per la libertà di scelta, in materia di vaccini ovviamente, e contro l’imposizione del green pass, uno strumento di controllo di massa delle vite di tutti noi, un esperimento di intromissione digitale nelle nostre vite e nel nostro quotidiano, che rischia di rimanere anche dopo la fine della pandemia.

Da qualche parte, e cosa ancora più grave, anche da parte di qualcuno fra gli anarchici, si è voluta definire questa libertà che si grida nelle piazze una “libertà liberale e borghese”; ne deduciamo che solo se la gente avesse strillato “anarchia! anarchia!” i fautori di questa critica si sarebbero decisi a raggiungerla. Ma se questo evento auspicabilissimo non avviene, ci saranno di certo delle motivazioni, delle cause, delle responsabilità che riguardano anche noi!

Chiamiamola comunque, pure “libertà borghese”, ma la libertà di scelta che viene rivendicata è tutta orientata contro chi sta approfittando di un’emergenza sanitaria per imporne una politica e sociale; contro chi, con la scusa della tutela della salute pubblica, sta producendo esperimenti a raffica di tipo securitario, basati sul controllo individuale e collettivo con l’ausilio di tutti i più sofisticati strumenti tecnologici oggi disponibili e con una narrazione militarista seguita da un ampio impiego dell’esercito.

E fa strano che dopo anni di studi, convegni, pubblicazioni, teorizzazioni sulla biopolitica, dopo aver fatto le pulci a Michel Foucault e aver elaborato le più raffinate teorie post-anarchiche, ora non si riesca a cogliere la pericolosità e la profondità del contesto distopico in cui ci stiamo trovando lentamente immersi, sintetizzabile nel ben noto binomio “sorvegliare e punire”.

Chi chiede di poter mantenere la propria libertà di circolazione per poter continuare a godere dei “privilegi” che adesso sono limitati e minacciati dal passaporto verde, magari non ha coscienza che migliaia di persone migranti vengono già private della libertà di circolazione da tanti anni, per il motivo opposto, cioè a causa del rifiuto da parte delle istituzioni di concedergli i documenti necessari. Ma c’è un parallelismo solo apparentemente contraddittorio in tutto ciò, ed è nel fatto che lo Stato si arroga il diritto di determinare le modalità in cui le persone debbano vivere, con o senza un documento, e per far ciò legifera, emette decreti, mobilita forze dell’ordine, ricatta, discrimina, taglia il salario, toglie il lavoro, costringe alla clandestinità, emana coprifuochi.

Possiamo noi essere mai estranei ed esterni a problematiche di questo tipo? Noi che non ci siamo mai fidati dello Stato, dei suoi organi amministrativi, giudiziari, repressivi, informativi? Noi che abbiamo additato sin da subito nel sistema che questi governi propugnano e difendono, la causa dell’esplosione della pandemia, del disastro climatico, della devastazione dell’ambiente? Possiamo per un solo momento esprimere acriticamente fiducia in provvedimenti spacciati come a tutela della salute, provenienti dai distruttori della sanità pubblica e comunitaria, dagli artefici della malasanità, dai difensori dei privilegi dei ricchi?

La questione sembra complessa, in realtà è molto semplice: c’è una crisi sanitaria reale, che colpisce nel mondo milioni e milioni di persone, delle cui origini e cause abbiamo detto e scritto tutto o quasi; c’è una gestione di questa crisi da parte degli Stati arbitraria, insincera, contraddittoria, ambigua, spesso dichiaratamente irresponsabile: basti pensare alla necessità di tutelare sopra ogni altro interesse generale, quello della produzione e dei profitti del capitalismo; alla continua riconferma delle pratiche devastatrici dell’ambiente; alla difesa a oltranza degli interessi delle multinazionali (quelle dei vaccini in primis); al costante incremento delle spese militari mentre per la salute, l’istruzione, la ricerca, i servizi essenziali si fanno solo proclami e si danno briciole.

Non c’è proprio molto su cui discutere per addivenire alla decisione su con chi e da che parte stare.

E anche se ai fini della tutela individuale della propria salute, come pure del voler privilegiare la libertà e il benessere collettivi, si possa prediligere la scelta del vaccino, come della mascherina, come dell’autoisolamento, in conseguenza di un ragionamento che ognuno ha sviluppato in piena coscienza e libertà, che poi questi comportamenti, queste scelte di libertà, non possano essere imposte con il ricatto e la violenza morale ed economica a chi non le condivide, credo debba essere considerato un fatto incontrovertibile.

Essere per la libertà di scelta, e nel contempo rifiutare l’imposizione di strumenti coercitivi e di controllo, vuol dire essere coerentemente libertari e fieri oppositori degli Stati e delle loro mai sopite voglie di sottomettere gli individui, di annullarne la facoltà critica attraverso lo strumento della paura, del ricatto occupazionale, della repressione.

Coniugare questa libertà militante, antifascista e libertaria, nei luoghi in cui si manifesta il malessere sociale, ma anche in quegli altri - maggioritari - in cui emerge un’accettazione supina dell’autorità, penso sia la terza via che possa dare un senso alla nostra inquietudine odierna.

Pippo Gurrieri