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martedì 13 giugno 2017

Gli indiani metropolitani

Tutto quello che successe prima del 1977 confluì nel Movimento: gli scioperi degli operai, l’occupazione delle case abbandonate, il risanamento dei quartieri periferici delle città, il terrorismo, il movimento femminista, la contestazione ai cambiamenti delle leggi sull’istruzione, la contestazione politica, la lotta al capitalismo. Gli Indiani Metropolitani si inserirono in questo amalgama di anime del Movimento, apportando uno spirito ironico, gioioso e non violento alla sensazione di rivoluzione che si respirò dal mese di febbraio al mese di settembre del 1977.
Nel marzo del 1973 a Torino, presso la Fiat Mirafiori, dei giovani operai occuparono i reparti della fabbrica in un’iniziativa autonoma dal sindacato. Questi giovani si legarono sulla fronte una fettuccia e inscenarono un happening, suonando clacson e battendo tamburi al grido onomatopeico «Èaèaèaèao». Probabilmente questo fu il primo sintomo di quel revival della cultura indiana che prese largo durante il Movimento.
Gli Indiani Metropolitani iniziarono a partecipare attivamente alla vita degli studenti in occupazione, attraverso l’organizzazione di feste e performance e la realizzazione di murales e di scritte ironiche ma che racchiudevano il loro modo di pensare, fondato ad esempio sulla frase «La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà», insieme ad altri due slogan: “Godere operaio” (in opposizione a Potere operaio) e “Godimento studentesco” (in opposizione a Movimento studentesco). Quasi sempre vicino alle scritte murali  era visibile la A cerchiata.
Gli Indiani combinarono svariate forme di creatività, definita di massa e per la massa e che si propose direttamente come modalità di vita: l’arte è vita, la vita è arte. Il risultato dell’addizione di avanguardie storiche, controcultura americana, situazionisti francesi, teorie marxiste-leniniste, letteratura e poesia si trasformò in una scossa che attraversò tutto il 1977, che sconvolse le vite sia di chi la produsse sia di chi invece solo assistette dall’esterno all’invettiva degli “artisti” del Movimento. Ci fu un atteggiamento di completa indifferenza nei confronti delle regole di contestazione e comunicazione e nei confronti di chi queste regole le aveva enunciate; scardinare tutte le pratiche che fino a quel momento avevano gestito la vita sociale, culturale ed educativa della gioventù per trasformarle in un qualcosa di incomprensibile (nonsense) e irriverente.
 L’ala creativa del Movimento del ’77 basò i suoi principi sul cambiamento di vita riguardo tutti gli aspetti sociali, combattendo l’obiettivo della liberazione individuale e collettiva. Le pratiche artistiche rappresentarono uno dei punti salienti e distintivi del Movimento andandosi a configurare come massimo tentativo di eliminare il livello di separazione tra il piano della creatività e il piano dell’esistenza.
L’ideologia del rifiuto del lavoro stabilì la perdita di senso dell’agire umano nel lavoro salariato, un lavoro inteso prima solo come occupazione del proprio tempo, a cui venne sostituito il concetto di rifiuto del lavoro inteso come un’occupazione dello spazio (la metropoli) in cui si poteva essere liberi di divulgare i desideri individuali. Alla liberazione degli spazi metropolitani, si affiancò la consuetudine della riappropriazione delle merci secondo la logica di ottenere delle comodità, a cui le giovani generazioni non volevano rinunciare, un altro modo per opporsi al governo dell’austerità e per rivendicare un’eguaglianza sociale.
Il fallimento della parità tra le classi sociali creò un nuovo individuo desiderante, sovversivo e antagonista che si sentì incompreso e discriminato dalla società claustrofobica rappresentata dalla famiglia, dall’economia e dalla politica.