[…] L'uomo seduto sul
pavimento guardava i detriti intorno a lui. Un frammento di soffitto lo aveva ferito al volto. Fissò le
due pistole con un'espressione strana, quasi le vedesse per la prima volta.
Scosse la testa, sorrise. Aprì lentamente le dita, e le pistole ruotarono su se
stesse, rimanendo appese agli indici.
Continuò a guardarle oscillare, con le bocche rivolte al suo viso. Nel fondo di
quei piccoli tunnel oscuri, c'erano le teste lucenti di due pallottole
pronte a scattare verso le sue tempie. Forse era giunto il momento di
liberarle, di dare un bersaglio sicuro alla
loro corsa. Il cuore pensò, ipnotizzato dal movimento ondulatorio dell'acciaio
brunito. Meglio puntarle al cuore. Fermare finalmente quel cuore maledetto, che aveva pompato per anni un sangue
schiumoso di sensazioni dolorose, riempiendo le arterie di rancore per le
umiliazioni, le stesse che tanti sopportavano senza impazzire, mentre in lui
avevano provocato una sete di vendetta inestinguibile.
Si chiese per quale
oscura macchinazione del destino nascano uomini diversi dagli altri, da tutti quelli
che rimangono a capo chino fino all'ultimo dei loro giorni, in una rassegnazione
muta, che rende quei giorni uguali e le notti inesistenti. Si chiese perché a qualcuno tocchi in
sorte di non trovare pace ogni volta che
tramonta il sole, dannato dall'attesa di un'alba che arriva sempre troppo
presto, pronta a dimostrare che ogni oggi sarà peggiore di ogni ieri. La
pistola appesa al dito destro la punterò al cuore, pensò, e l'altra al ventre. Perché le viscere avevano ancora più
colpa, con quel loro fuoco che bruciava dentro fin da bambino, alimentato dalla
fame, dalle bastonate,
dall'inutilità di qualsiasi sforzo compiuto per sfuggire al marchio della miseria. Ma non erano state le
privazioni ad accenderlo. Questo lo
sapeva, era inutile provare a ingannare la realtà. Milioni di esseri umani nascono poveri, ma sono pochi quelli che
si consumano e si contorcono per quel fuoco acceso da una sensibilità nefasta, che fa fremere la pelle, che
annebbia la ragione, che si trasforma in bisogno d'uccidere ogni volta
che si sente ferita.
E altre due pallottole se le meriterebbero gli
occhi, pensò, questi occhi nemici della mia
sopravvivenza, che si sono soffermati su ogni cosa servisse a trarne
sofferenza, rifiutandosi di scorrere sulla vita come davanti a uno spettacolo estraneo. Occhi che avevano scrutato la
volgarità di volti insopportabili, che trasudavano arroganza, facce di vincitori tronfi e convinti della propria
invulnerabilità. Occhi che si erano creduti
in diritto di formulare paragoni all'infinito: a ogni faccia oscenamente sazia, ne sovrapponevano una scarna e
triste.
Abbassò le palpebre, fino a serrarle con forza.
Il buio agognato non arrivò. A occhi chiusi,
tornava a vedere ciò che la luce del mattino riusciva a tenere lontano.
[---] Riaprì gli occhi. E solo allora si
accorse delle schegge che turbinavano nella stanza. Un'altra scarica di fucileria. Il legno delle pareti
assorbiva il piombo senza farlo rimbalzare,
e nell'angolo dove stava seduto non potevano raggiungerlo con un tiro
diretto. Prese un foglio, lo ripulì dalla polvere, cercò la matita e la trovò
sotto un lembo di tappezzeria strappata. Poi cominciò a scrivere. “Io Jules
Bonnot... ” Si fermò. Tenendo il foglio con due dita, strappò via la
striscia col suo nome. Loro sapevano benissimo come si chiamava, tanto valeva non rendersi ridicolo con quell'inizio da burocrate.
Riprese a scrivere, indifferente ai calcinacci che gli cadevano sulla schiena.
"...Non chiedevo
granché. Camminavo con lei al chiaro di luna nel cimitero di Lione,
illudendomi che non vi fosse bisogno d'altro per vivere. Era la felicità
che avevo inseguito per tutta la vita, senza esser capace neppure di sognarla. L'avevo trovata, e
scoperto che cosa fosse. La felicità che mi era stata sempre negata. Avevo il
diritto di viverla, quella felicità. Non me lo avete concesso. E allora, è
stato peggio per me, peggio per voi, peggio per tutti... Dovrei rimpiangere ciò
che ho fatto? Forse. Ma non ho rimorsi. Rimpianti si, ma in ogni caso
nessun rimorso..."