La
partecipazione in prima persona e l'azione diretta più o meno pacifica con
l'apporto di una diversa consapevolezza, capace di modificare e rendere più
intense le relazioni tra le persone, guidano l'iniziativa su una scala
territoriale forse più limitata, ma più incisiva.
Rimettersi alle
istituzioni significa accettare che ogni scelta urbanistica fatta e gestita dal
ceto politico in nome della collettività e del bene comune si trasformi
ineluttabilmente in un ulteriore impoverimento delle libertà dei singoli.
Si creano gruppi
di individui disponibili a mettersi in gioco, in modo anche molto radicale, su problemi
concreti e circoscritti, riguardanti il proprio territorio e la vivibilità
quotidiana.
Aria, tempo,
spazio, piacere, terra, cibo sono sempre più motivo di conflitti e
rivendicazioni.
La loro
mancanza, il loro degrado, l'impossibilità di goderne liberamente stanno
rimodellando velocemente i valori, le idee, le paure, le prospettive e con esse
i modi e le ragioni stesse del fare politica.
Sono queste le
persone che possono reagire e resistere, perché impostano la lotta contro la privatizzazione
e la mercificazione dello spazio come lotta frontale, non necessariamente
violenta, ma certamente coerente con il proprio sentire, autorganizzata e
solidaristica, orientata a ottenere risultati tangibili e immediati in
situazioni che valorizzino le caratteristiche di ognuno, rendano possibile e
migliorino la qualità sociale. Sono le persone che hanno intuito che né il mercato
né lo Stato agiscono per l'interesse collettivo tanto meno per quello dei
singoli e che si stanno orientando verso modelli che li ridimensionano o li
escludono.
Per loro
affidarsi al mercato significa rendersi partecipi della trasformazione delle
città in centri commerciali o musei a cielo aperto e chi la abita in polli in
allevamento da far sopravvivere in una gabbia luccicante. Così, in modo più o
meno radicale, contro il mercato praticano l'autoproduzione, la riutilizzazione
dei materiali, l'autocostruzione, il baratto e il mutuo appoggio organizzato.
Introducono il
dono nei rapporti di scambio tra le persone; si associano in gruppi di
acquisto, in attesa, magari, di potersi organizzare autonomamente creando orti
collettivi in città o nelle sue vicinanze. Così, si oppongono alla speculazione
edilizia, alla costruzione di edifici che trasformano la città in uno spazio
espositivo per il marketing pubblicitario di banche e multinazionali, a infrastrutture
ingombranti e inutili.
Sono le persone
che occupano le case abbandonate per abitarci o condividerne gli spazi con chi vuol
frequentarle. Utilizzano le strade, i marciapiedi, le piazze, i muri, i parchi
al di là delle convenzioni e dei regolamenti sottraendole anche solo
momentaneamente alle automobili, a un’estetica mediocre, a una tristezza
uniforme.
I partiti e le
istituzioni amministrative non possono rappresentare l'interesse pubblico
perché fanno parte del sistema, perché rappresentano essi stessi interessi
privati e perché sono strumenti avversi alla formazione di meccanismi di
decisione collettivi e alla mobilitazione.
Non devono mai
affidare la loro volontà a rappresentanti non eletti e non revocabili, né permettere
la specializzazione politica: devono escludere i dirigenti.
In questo
consiste l'autorganizzazione.
Non cedere
alle prevaricazioni né alla seduzione. Il suo obiettivo irrinunciabile deve
essere la liberazione del territorio dagli imperativi del mercato, e ciò
significa farla finita con il territorio inteso come territorio dell'economia.
Deve stabilire un rapporto di rispetto tra l'uomo e la natura, senza
intermediari.
In definitiva si
tratta di ricostruire il territorio, non di amministrarne la distruzione.
Questo compito
spetta a coloro che nel territorio vivono, non a coloro che ci investono, e
l'unico ambito in cui ciò è possibile è quello offerto dall'autogestione
territoriale generalizzata cioè la gestione del territorio da parte dei suoi
abitanti attraverso assemblee comunitarie.