La rivoluzione
cessa dall’istante in cui bisogna sacrificarsi per essa. Perdersi e
feticizzarla. I momenti rivoluzionari sono le feste in cui la vita individuale
celebra la sua unione con la società rigenerata. L’appello al sacrificio vi
suona come una campana a morto. Quando Vallès scrive: ”Se la vita dei
rassegnati non dura più di quella dei ribelli, tanto vale essere ribelle in
nome di un idea”, egli resta al di qua del suo proposito. Un militante non è mai
rivoluzionario che contro l’idee che accetta di servire. Il Vallès
combattente per la Comune è dapprima il ragazzo, poi il baccelliere che
recupera in una lunga domenica le eterne settimane del passato. L’ideologia è
la pietra sulla tomba dell’insorto. Vuole impedirgli di resuscitare.
Quando l’insorto
comincia a credere di lottare per un bene superiore, il principio autoritario
cessa di vacillare. L’umanità non ha mai mancato di ragioni per far rinunciare
all’umano. A tal punto che esiste in alcuni un vero riflesso di sottomissione,
una paura irragionevole della libertà, un masochismo onnipresente nella vita
quotidiana. Con quale amara felicità si abbandona un desiderio, una passione,
la parte essenziale di sé. Con quale passività, quale inerzia si accetta di
vivere per qualche cosa, di agire per qualche cosa, dove la parola cosa prevale
con il suo peso morto dappertutto. Poiché non è facile essere sé, si abdica
allegramente; al primo pretesto che capita, l’amore dei figli, della lettura,
dei carciofi. Il desiderio del rimedio si eclissa dietro la generalità astratta
del male.
Ciononostante il
riflesso di libertà sa, anch’esso, aprirsi un varco attraverso i pretesti.
Nello sciopero per gli aumenti dei salari, nella sommossa, non è forse lo
spirito della festa che si desta e prende consistenza?
Trasformare il
mondo e reinventare la vita è la parola d’ordine effettiva dei movimenti
insurrezionali. La rivendicazione che nessun teorico crea perché è appunto essa
a fondare la creazione poetica. La rivoluzione si fa tutti i giorni contro i
rivoluzionari specializzati, una rivoluzione senza nome, come tutto ciò che
emana dal vissuto, preparando, nella clandestinità quotidiana dei gesti e dei
sogni, la sua coerenza esplosiva.