Parlare di corruzione su un
giornale anarchico potrebbe sembrare superfluo: la corruzione è infatti
strettamente connessa all’esercizio del potere, quindi se il problema sta là,
nel potere, la soluzione non può che essere l’abolizione del potere. Ma Sicilia
libertaria è un giornale rivolto prevalentemente ad un pubblico non anarchico,
con cui ci piace dialogare e approfondire le cose. Così preferiamo non dare per
scontato quello che per noi scontato è.
Tanti, tantissimi, in questi
giorni, hanno provato l’ebrezza di provare a sostituire i governanti
tradizionali con altri nuovi, puliti, espressione autentica del popolo,
addirittura rivoluzionari. Ne scriviamo in altre parti del giornale, quindi,
tralasceremo di commentare l’esito elettorale in questo articolo; però ci pare
degno di interesse constatare come, da parte di soggetti e realtà organizzate
che si definiscono antagonisti e anticapitalisti, e fanno parte delle varie
scuole della sinistra, si riproponga l’ennesima illusione (che per essi non è
tale, ovviamente) che basti cambiare i vertici dello Stato o del Governo, basti
prendere il potere, e le cose cambieranno in meglio.
Scriveva Carlo Cafiero oltre un
secolo fa: “Il potere ubriaca, ed i migliori, investiti di autorità, diventano
pessimi”. Sono parole semplici, ma estremamente sagge, e collimanti con gran
parte delle culture popolari che da sempre sostengono le stesse cose. Nel Sud
Italia un proverbio sostiene che “U cumannari è megghiu du futtiri”, e chissà
perché comandare dovrebbe essere meglio del fottere, se non per quei privilegi,
quelle godurie materiali ma anche spirituali, che l’esercizio del comando
permette? Tanto è vero che stiamo ancora aspettando un potere che non solo a
parole o nelle carte costituzionali, faccia davvero gli interessi del popolo,
ovvero della massa dei subalterni che rappresentano la maggioranza del popolo.
E difficilmente diventeremo ”così coglioni da non riuscire più a capire che non
ci sono poteri buoni”, per citare un compagno che ci manca tanto.
Tornando alla corruzione,
pertanto, essa è l’arte dell’essere “pessimi” di cui parlava Cafiero; mentre
per un altro anarchico, Alexandre Berkman: “L’autorità corrompe chi la
possiede e degrada chi ne è vittima”.
Può sembrar strano, ma stiamo
ripercorrendo sentieri dialettici che nel 1871 e seguenti animarono il
dibattito in seno all’Internazionale e portarono alla separazione/rottura tra
l’anima marxista e quella antiautoritaria; quest’ultima sosteneva a spron
battuto che il potere corrompe, e come fosse errato non prendere in
considerazione gli aspetti psicologici, oltre che morali e poi materiali,
connessi alla gestione del potere, dichiarando che lo scopo primario del
proletariato dovesse essere non la conquista bensì l’abolizione del potere
politico.
Le cronache quotidiane sono uno
sgranare continuo del rosario dei cosiddetti scandali, in cui esponenti della
politica, della pubblica amministrazione, del mondo finanziario, della chiesa,
delle forze armate, ecc., sono coinvolti in fatti corruttivi, generalmente
ruotanti attorno a arricchimenti illeciti, controllo di appalti, avanzamenti di
carriera, favoreggiamento, e così via; fatti in cui spesso compaiono come
attori comprimari la mafia o una delle tante organizzazioni criminali di cui è
ricco il nostro paese. Nel 1991 crollarono il vecchio sistema dei partiti e
quella che fu definita “prima Repubblica” in seguito alla scoperta della
vastissima rete di corruzione, ruberie, malaffare in cui tutti i partiti erano
coinvolti. Da allora sono cambiati i nomi di quasi tutti i partiti, sono
cambiate le modalità di formazione della classe dirigente, una volta scomparse
le vecchie scuole socialista, comunista e democristiana, ma la corruzione non
solo non è diminuita, ma si è dimostrata per quello che è: un fattore endemico
del sistema. I moralisti che provarono a rimpiazzare la vecchia classe politica
– fra tutti pensiamo a un Di Pietro e la sua Italia dei Valori, e a un Bossi e
la sua Lega Nord – sono inciampati in scandali che li videro diretti
protagonisti di ruberie, distrazione di somme pubbliche, arricchimento
illecito.
Nel 1988, prima di “mani pulite”,
uscì un libro di Franco Cazzola, intitolato “Della corruzione”, in cui l’autore
si sforzava di denunciare come si trattasse di un fenomeno patologico del sistema
politico. A pag. 15 scriveva: “Sappiamo tutti che la corruzione c’è sempre
stata, ha fatto la sua parte in ogni sistema sociale e politico; sappiamo che
ciò che spinge a corrompere e a farsi corrompere è un insieme di passioni e
interessi individuali o di gruppo quali la ricerca del guadagno, il desiderio
del potere, la ricerca di uno status superiore nelle diverse gerarchie; e che
tutto questo è in gran parte insito nella natura umana”.
Certo che questo ombrello della
“natura umana” ne ha salvati di discorsi: la delinquenza, la violenza,
l’invidia, il possesso, la proprietà, e quindi non poteva mancare la
corruzione. Si tratterebbe di una sorta di condanna, che si va a trasformare in
assoluzione per chi si lascia trasportare dalla propria natura.
Il fatto è che l’occasione (il
potere) fa l’uomo ladro, ed è proprio l’occasione quella che va rimossa;
bisogna diffondere e fare emergere il senso del collettivo, degli interessi
comuni, della solidarietà, connessi con la possibilità (che va conquistata) di
poter decidere tutti, dal basso, in organismi assembleari piccoli, federati tra
loro, con compiti affidati a rotazione, con distribuzione delle competenze e
dei ruoli, per eliminare le cause della corruzione. Ma “collettivo”, “interessi
comuni”, vanno contestualizzati: non stiamo parlando “di tutti”, ma di chi è
escluso, di chi vive nelle parti basse della piramide sociale e sopporta il
peso dello sfruttamento, dell’oppressione, delle angherie, della corruzione.
Utopia? Si certo. Anche sognare è un lusso che ci è sempre più negato, per
farci adagiare sullo squallore di una quotidianità ingrigita.
Si può essere corrotti e
corruttori; i secondi hanno bisogno dei primi, che da vittime possono
trasformarsi in complici. Un piccolo favore fatto da un grande boss della
politica o della criminalità, ti lega per sempre al sistema. Non esistono
piccole e grandi corruzioni: l’una è sempre funzionale all’altra. Si comincia
quasi sempre col poco. E’ inutile fare distinzioni, perché se cambiano le
quantità, non muta la sostanza: è solo questione di tempo…
Il moralismo, la legalità, sono
delle trappole: le leggi e le regole sono fatte per proteggere le ricchezze e
le grandi proprietà; la legge non è “uguale per tutti”. Spesso c’è una
corruzione legale o morale, fatta di applicazione di norme, leggi, regole
vessatorie che assicurano lo stesso risultato a classi di privilegiati:
ricchezza e potere, a danno, come sempre, della maggioranza. E allora si torna
all’inizio del discorso: il problema sta nel potere.