La vittoria del Movimento 5
Stelle alle elezioni politiche denota un voto di protesta sensibile alle sirene
populiste, forse post-ideologico, ma che proviene sicuramente una richiesta di
cambiamento. Dall’altro lato c’è un rafforzamento della Lega, che assorbe voti
di Forza Italia e fascisti, e frena quelli delle frange più estreme interne od
esterne alla coalizione.
Si può parlare di uno spostamento
a destra in una situazione in cui da anni il liberismo ha cancellato buona
parte dei diritti sociali, dalle pensioni alle norme sul lavoro, ridotto i
servizi, dalla sanità alla scuola ai trasporti, rapinato i redditi più deboli
in favore delle minoranze ricche, adottato politiche securitarie e
sostanzialmente razziste in materia di immigrazione? Il PD, che ha assicurato
queste politiche di destra, ora ne paga lo scotto poiché da questo partito gli
elettori si attendevano “qualche parola di sinistra”.
Il fallimento della lista della
sinistra in doppio petto di Liberi e Uguali ci indica come all’interno della
macchina elettorale le posizioni che si richiamano al socialismo non trovano
più sponda. L’astensionismo ha ulteriormente accresciuto la sua quota
attestandosi sul 27% (37% in Sicilia), segno che, nonostante tutto, i tentativi
di intercettarlo da parte sia dei 5 Stelle che del centro destra che,
soprattutto da parte dei gruppi della cosiddetta sinistra antagonista (tutti
assieme rastrellano l’1,5%), sono miseramente falliti.
Al momento in cui scriviamo le
prospettive di formare un governo sono abbastanza nebulose; se non si attua una
qualche ammucchiata difficilmente ci sarà un nuovo governo e si dovrà tornare a
votare. E’ anche vero che, viste le dichiarazioni di responsabilità che in
questi momenti tutti si affrettano a fare, l’ammucchiata PD-centro destra, o 5
Stelle-PD, o Lega-5 Stelle, o un governo di minoranza con appoggio esterno,
potrà alla fine prevalere, con il pretesto della stabilità, o magari con lo
scopo di modificare la legge elettorale.
Le due formazioni uscite comunque
vincenti (5 Stelle e Lega) hanno adottato le posizioni più vicine alla pancia
degli elettori, pur continuando a rassicurare banchieri e capitalisti sulla
loro serietà e responsabilità. In materia di reddito di cittadinanza, di
abolizione della legge Fornero, di lavoro, di tasse, si sono sbilanciati
alquanto rincorrendo l’elettorato; i primi giocando sul fatto di essere ancora
vergini di esperienza governativa; i secondi accentuando i toni canaglieschi e
xenofobi facendo leva sulle difficoltà della gente in questi anni della crisi
economica. Ciò però ci indica che, al di là dei risultati, la società mantiene
una forte esigenza di riscatto, che emerge dalla crescente astensione e dai
voti espressi, ma che questa esigenza non è raccolta dai partiti storici della
sinistra, oramai in pieno naufragio. Nemmeno le forze che si muovono sul piano
extraparlamentare ed extraistituzionale, tuttavia, riescono a offrire una
prospettiva adeguata, se non in misura settoriale e localistica, e questo pone
più di un interrogativo sulle strategie adottate, sulla capacità di tessitura
sul territorio, sulla messa in pratica di percorsi di reale unità d’azione.
Lo abbiamo scritto in uno degli
articoli sulla vicenda elettorale di Potere al Popolo: probabilmente il maggior
disagio provato da questi settori è stato, nel tempo, quello di sentire che i
propri sforzi nelle lotte quotidiane cozzassero con la difficoltà di potere
incidere sulla società nel suo insieme; l’abbiamo definita una questione
legittima e che sentiamo tutti come pregnante. Le soluzioni adottate per
cercare di dare una risposta, però, ci sono sembrate inadeguate e fuorvianti. Con
la voglia di cambiamento espressa dal voto; con l’enorme sfiducia che quasi un
terzo della popolazione che non vota, esprime, c’è sicuramente molto spazio per
agire dal basso, a partire da un collegamento di tutte le iniziative e le
realtà sociali, unica via per dotarsi di prospettive autentiche di cambiamento.
Pippo Gurrieri