Già da qualche
giorno alla Venaria Reale si riuniscono i rappresentanti di sette tra i paesi
più potenti del mondo per discutere di lavoro, industria e scienza. Sono i
sette che hanno approfittato della epocale crisi del 2008 per attaccare i
diritti di giovani e lavoratori, per abbattere la qualità delle nostre
condizioni di vita, per saccheggiare e devastare territori e popolazioni che
già vivevano in condizioni difficili. Hanno scaricato la crisi su di noi, ci
hanno detto che non c'era alternativa, mentre salvavano le banche, mentre le
tasche dei più ricchi si gonfiavano sempre di più, mentre la concentrazione
delle risorse e il danno ambientale che le loro politiche infami hanno
provocato sconvolgono il pianeta.
La crisi ha
anche, però, fatto cadere la maschera della presunta democrazia occidentale, ha
reso evidente la funzione degli stati a tutela delle grandi ricchezze e sempre
pronti a rifarsi su i più deboli. Nessuna fiducia, in occidente come altrove, è
riposta nelle classi dirigenti di questi paesi. Il G7, come le altre riunioni
dei potenti, non sono che un'umiliazione per miliardi di persone che subiscono
le decisioni elaborate in queste assise.
Già lo sappiamo
cosa ci diranno: siamo qui per risolvere il problema della disoccupazione
tecnologica, parleremo della delocalizzazione del lavoro, cercheremo una
soluzione alla finitezza delle risorse. Ma la verità è che se si lavora con
salari da fame, se c'è chi lavora troppo e chi non lavora affatto, se le tutele
e le professionalità sono state distrutte è colpa loro. Se la tecnologia invece
di ridistribuire la ricchezza è la trappola che ci impoverisce è colpa loro. Se
le risorse mancano è perché se ne sono appropriati, le hanno rubate.
La loro
industria delocalizza, si ristruttura per dividere i lavoratori, per renderli
ricattabili, per pagare di meno il costo del lavoro. Diventa smart, pesa i
pochi megabyte di una app, ma dentro di sé porta il peso di un lavoro a cottimo
per pochi euro, della sofferenza di tutti quei giovani esposti alle nocività,
alla disoccupazione, alle malattie da stress, alla fatica.
La loro scienza
è scienza della guerra, della devastazione ambientale, del controllo e
dell'ordine, della paura. Non c'è etica che importi, l'unico faro della loro
scienza è il profitto di pochi contro la vita di molti.
Dopo qualche
pacca sulle spalle e qualche foto di rito ci annunceranno che la tormenta è
finita, che siamo fuori dalla crisi ancora una volta. Però ci terranno a
precisare che non c'è alternativa, che bisogna stringere i denti e fare qualche
sacrificio in più. Quello che non diranno è che i sacrifici serviranno per
tenerli sui loro troni ad abbuffarsi di ciò che resta di questo paese malato.
Un'alternativa
c'è ed è una sola. Guastargli il banchetto. Mettersi in mezzo.
La nostra unica
alternativa è smetterla di accettare che siano loro a decidere sulle nostre
vite.
La nostra unica
forza è l'unione di tutti coloro che sono sfruttati, emarginati, affamati,
umiliati e derisi da loro.
La nostra unica
salvezza, l'unica salvezza di questo paese è ribellarsi. Ora.
Sul lavoro
bisogna ripartire da zero:
1) Lavorare meno per lavorare
tutti.
Nel mondo non
c’è mai stata così tanta ricchezza e così mal distribuita. Eppure si lavora
fino a sempre più vecchi mentre i giovani muoiono di disoccupazione, si lavora
anche la domenica, anche di notte. Serve una diminuzione della settimana
lavorativa a parità di reddito.
2) Lavorare meno per lavorare
meno.
L’automazione
deve essere un vero progresso. Deve servire a liberarci dalla fatica e dal
ricatto del lavoro. Deve servire a liberare tempo per gli affetti, per la
socialità, per coltivare i propri interessi non a produrre disoccupazione.
3) C’è lavoro e lavoro.
Quante volte il
lavoro rappresenta qualcosa di nocivo per chi lo porta avanti e per ciò che
produce? Il criterio che deve guidare il lavoro è l’utilità sociale di tutti
non i profitti di pochi.
4) Lavoro o non lavoro devo poter
campare.
La diminuzione
del lavoro socialmente necessario non deve portare alla miseria nessuno. Casa,
welfare e bisogni primari devono essere garantiti a tutti.