La procedura per
la costruzione di una società giusta e pacifica passa attraverso una
consapevolezza individuale che dovrebbe ormai essere storicizzata da un pezzo:
i governi, gli Stati e la Chiesa sono organismi distruttivi e sovrastrutturali.
A partire da questo dato, che già oltre 200 anni fa si attestava come una
certezza inconfutabile (poi dichiarata apertamente anche alla Prima
Internazionale), è doveroso considerare la prospettiva di un cambiamento reale
a partire dalle nostre coscienze e quelle dei nostri figli.
Se l'esperienza
storica ci insegna che prima della nascita degli Stati le società non
conoscevano guerre e ingiustizie sociali, è proprio quella dimensione a-statale
che bisogna riconsiderare, oggi più di ieri. D'altra parte, già nel XIX secolo
gli intellettuali avevano lanciato l'allarme, prefigurando ciò che sarebbe
successo. Ed è successo. Ci siamo dentro, e non ne usciremo se non nel modo
indicato proprio da quei grandi pensatori, filosofi, politci, antropologi... (John
Ruskin, Pierre-Joseph Proudhon, Lev Tolstoj, Giovanni Pascoli, Michael Bakunin,
Pëtr Kropotkin, Emile Gravelle, e mille altri). L'antropologia culturale, da
par suo, ma anche gli studi di Erich Fromm, hanno contribuito a far capire che la
natura umana è cooperativa -non già malvagia- e che questo istinto alla
cooperazione è visibile in tutte quelle società in cui manca uno Stato o un
ordinamento a carattere gerarchico. Va da sé che una struttura gerarchica,
com'è invece quella statale, non può far altro che produrre ingiustizie,
privilegi di casta, sudditanze e crimini. Perciò gli intellettuali insistono su
questo aspetto, sottolineando che la vera utopia sia credere ancora che la
sostituzione dello Stato con un altro Stato (o un governo con un altro) diventi
la soluzione. Non è mai avvenuto. Anche la Storia, ormai, denuncia questa
enorme illusione.
Il fatto che la
centralità dell'individuo sia l'individuo stesso nella sua singolarità e
autonomia è un fatto ormai acclarato anche dalla pedagogia più evoluta. La
scienza dell'educazione e della formazione non lascia dubbi su chi debba essere
un individuo e su cosa non debba mai diventare. E questa pedagogia affonda le
sue radici proprio nelle teorie e nelle pratiche anarchiche.
L'anarchia
diventa allora motivo di rilancio di un modello sociale equo, giusto, pacifico,
dove ogni individuo è naturalmente proiettato verso il benessere di se stesso e
degli altri, per logica conseguenza, per naturale inclinazione e ordinamento.
E' evidente che il modello anarchico, con tutte le sue dinamiche e regole, con
tutte le sue particolarità e ricchezze metodologiche, non potrà essere compreso
facilmente da coloro che hanno fatto delle sovrastrutture propagandistiche di
Stato un credo. Se la costruzione di una società a-statale deve passare
attraverso l'eliminazione dei pregiudizi e delle sovrastrutture (distruttive,
ma alle quali alcune persone sono davvero molto affezionate), cioè dalla
considerazione profonda e sincera di quanto detto e fatto dai grandi pensatori,
siamo sempre in tempo per conoscere, senza mai abbandonare l'obiettivo finale
che, come già dimostrato ampiamente, è sbagliato definire 'utopia': costruire
una nuova umanità dove i nostri figli non conosceranno più ingiustizie.