15 gennaio: La Pantera siamo noi.
Alla fine del 1989 una pantera nera
venne ripetutamente avvistata intorno a Roma; seminò il panico e sfuggì ai
safari organizzati per catturarla, e scomparve infine nel nulla. Non fu l'unica
pantera ad aggirarsi per le città e a ruggire in quei giorni: proprio dal
felino, che occupò le prime pagine dei giornali e i programmi televisivi, si
diede il nome il movimento di studenti universitari e medi che agitò le scuole
e occupò le facoltà del Paese: chi ha paura della Pantera?
Il 15 gennaio 1990 gli studenti
occuparono la facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza di Roma; questa
occupazione segnò la nascita del movimento della Pantera. Già da qualche mese
erano occupati un laboratorio e un'aula della Sapienza e fino a dicembre era
stata occupata la biblioteca per protestare contro i ridotti orari di apertura,
dovuti ai tagli al personale dell'università.
La prima città a muoversi era stata
Palermo (6 dicembre 1989), dove la precaria situazione dell'istruzione era
aggravata da problemi economici e sociali. Poi, quando il 15 gennaio la Pantera
occupò alla Sapienza le facoltà di Lettere, Psicologia e Scienze Politiche, la
protesta esplose: mentre l'ateneo romano resterà occupato fino alla primavera,
in tutta Italia vennero occupate scuole e facoltà e bloccata la didattica.
Primo Ministo era Giulio Andreotti, al
suo ultimo mandato; il ministro dell'Istruzione era Antonio Ruberti,
socialista, craxiano. É l'ultima legislatura della cosiddetta Prima
Repubblica, siamo alle soglie di Tangentopoli.
Il motivo aggregante della protesta fu
la proposta di legge Ruberti che prevedeva l'autonomia degli atenei e
l'ingresso dei privati nelle Università. Il primo aspetto segnava la fine
dell'idea stessa di Università di massa, con la creazione di una gerarchia tra
gli atenei, divisi tra atenei di eccellenza e atenei di seconda fila. La legge
prevedeva poi la possibilità per le aziende di contribuire al finanziamento dei
corsi di studio, in base alle necessità dei loro piani industriali, alleviando,
secondo le intenzioni del Governo, l'onere contributivo dello Stato nella
ricerca. Se un'azienda investiva capitali per un programma di ricerca, era
ovvio pensare, secondo il movimento, che non avrebbe fatto beneficienza. Gli
studenti rivendicavano un sapere slegato dal processo produttivo e una
formazione culturale non necessariamente collegata alla sua spendibilità nel
mondo del lavoro.
I motivi della protesta non si fermavano
però alla sola opposizione alla riforma. Si voleva uscire dalla marginalità in
cui si trovavano gli studenti all'interno, ma anche all'esterno
dell'Università, privi di potere decisionale sul proprio futuro. Si contestava
inoltre l'aumento delle tasse che avrebbe seriamente compromesso il diritto
allo studio. Preoccupava poi l'entrata in Europa, con la nascita dell'Unione
Europea. L'unione economica e finanziaria avrebbe condotto la ricerca, secondo
la Pantera, ancora di più nelle mani delle grandi multinazionali. Infine, il
movimento rivendicava l'accesso a un'informazione libera e autonoma, e
contestava la manovra dell’allora solamente imprenditore Berlusconi
(legittimata dall'allora ministro delle Comunicazioni Mammì, dopo la
deregulation degli anni Ottanta) di accentramento dei canali di comunicazione.