C’era una volta un branco di
pecore che pascolava liberamente. L’erba era tenera ed abbondante ed il prato
era fiorito. Vennero i lupi. Le pecorelle tremarono di paura e ricorsero ai
pastori per protezione. Ma i cattivi pastori, dopo averle munte e tosate ben
bene le consegnarono ai macellai.
Questa è la vecchia favola,
tante volte detta e ripetuta, sui cattivi pastori, che oggi calza più che mai a
meraviglia addosso ai mestatori del ciuccialismo riformato.
Egli è fuori dubbio che il
vecchio millenario sogno di uguaglianza e di libertà aveva preso la sua più
completa forma nella nuova dottrina del socialismo. La borghesia tremò e nella
paura divenne feroce.
Volle prevenire il pericolo e
ricorse alla repressione violenta, al piombo degli scherani, al carcere,
all’esilio. Al domicilio coatto.
Ma le idee non muoiono e il
malcontento esplode di frequente nelle sommosse, nei moti insurrezionali, che
vengono soffocati nel sangue.
Le tenebre della reazione
vengono rotte da vividi bagliori d’incendio.
Più la reazione infuria e più
si accende il desiderio della libertà e della vendetta.
Ma disgraziatamente il
socialismo aveva il suo dato debole. Esso lasciava intatto il principio
dell’autorità, e questa sua manchevolezza doveva condurlo al fallimento.
Ben presto gli elementi
autoritari presero il sopravvento e incanalarono il movimento sulla falsa
strada del socialismo di Stato.
La borghesia comprese che
questa era la sua ancora di salvezza. Non potendo più ostacolare la marcia del
proletariato, finse di seguirla. Molti elementi borghesi si infiltrarono nelle
file proletarie e si diedero con ardore ad organizzare le masse nelle camere
del lavoro e nelle leghe di resistenza.
Essendo essi gli elementi più
colti, presero ben presto il sopravvento e accentrarono nelle loro mani tutto
il movimento operaio. I lavoratori allettati dai vantaggi immediati, che
conseguirono nella lotta contro il capitale, si affidarono ciecamente all’opera
dei dirigenti.
Ma i cattivi pastori mentre
predicavano la rivoluzione, meditavano il tradimento, ed intanto
invigliacchivano le masse con l’elezionismo, facendo balenare la speranza di
arrivare alla piena emancipazione colle vie legali. Il suffragio allargato
compì l’opera.
Quando le masse, stanche della
lunga attesa volevano venire ad un’azione energica, i bravi pastori, teneri del
benessere del proletariato, si scalmanavano a consigliare la calma.
Il momento non è propizio! I
tempi non sono maturi!
E i lavoratori ritornavano
tranquilli all’ovile a farsi mungere, aspettando che i tempi maturassero.
Aspetta cavallo che l’erba cresce.
La borghesia intanto preparava
tranquillamente le armi per l’immane macello, nel quale dovevano morire milioni
di operai, i più giovani, i più irrequieti, i più entusiasti per l’ideale.
Finita la carneficina, i
superstiti, vistisi ancora ingannati e delusi nelle legittime speranze, vollero
tentare il cimello finale per spezzare il giogo opprimente.
I condottieri compresero che
non potevano più recitare l’indegna commedia e da tutti i pulpiti predicarono
la rivoluzione. Ma quando giunse il momento, quando il grande esercito
mobilizzato iniziava l’assalto delle posizioni nemiche coll’occupazione delle
fabbriche e dei latifondi, i pastori si ritirarono in disparte, lasciando le
masse disorientate. Non contenti di ciò misero mano alle pompe e con le docce
fredde dei concordati e dei controlli operai fecero sbollire tutto
l’entusiasmo, gettando nei cuori lo sconforto e la disperazione.
Così la rivoluzione
liberatrice, che si era affacciata con tanto vigore, vilmente tradita, moriva
sul nascere, dando adito alla borghesia di organizzare una feroce reazione. I
rappresentanti del pus cadaverico gongolanti di gioia sentenziarono che il
tempo non era ancora maturo e che pel momento conveniva rientrare nei limiti
della legalità. Iniziarono così il tanto sospirato movimento collaborazionista
che culminò nella salita al Quirinale di Filippo il Turacciolato e nella
solenne coglionatura subita dal medesimo. Eppure il proletariato baggeo, così
vilmente tradito, continua a prestar fede a tutti i pagliacci del ciuccialismo
deformato, ed invece di appenderli ai lampioni, come meriterebbero, continua ad
ardere loro l’incenso e ad accendere i ceri.
Forse crede in buona fede di
non essere ancora maturo, o sente veramente il bisogno di essere tenuto alla
catena?
Ma ecco che a disilludere anche
i più ingenui, gli eroici pompieri buttano finalmente la maschera e confessano
cinicamente il loro vile tradimento. Nel recente convegno di Milano, al quale
presero parte quasi tutti i social traditori, più o meno deformati, forse per
cattivarsi le simpatie dei fascisti e risparmiare dai randelli il loro
pieghevole groppone, ovvero per conservare la medaglietta conquistata coi voti
estorti ignominiosamente ai lavoratori, e per godersi tranquillamente il
beneficio dell’indennità parlamentare, hanno fatto a gara nello sconfessare il
loro passato rivoluzionario (?) e i loro peccati giovanili.
Fra gli altri il barbuto
aragonese, con la sua faccia da sputi, ebbe l’eroico coraggio di dichiarare
senza ambagi: «Noi al congresso di Roma dobbiamo ricordare i nostri
avvertimenti contro le violenze, e contro il socialismo così detto di guerra,
non dobbiamo parlar chiaro (finalmente!) confessando i nostri errori. È stata
ad ogni modo una fortuna che torna a nostro onore l’avere impedita la
rivoluzione» (giornale L’Oradel 12-9-1922).
Si poteva essere più spudorati?
E voi proletari avete capito? Sono stati gli aragonesi, i turacciolati, i
trampolini, e simile lordura che hanno impedito la rivoluzione. Sono stati essi
che, dopo avervi spinto all’azione, vi hanno vilmente tradito e consegnato,
legati mani e piedi alla reazione borghese, culminata nella violenza del
fascismo.
Non contenti di ciò, questi…
signori, continuano a consigliarvi la rassegnazione; e vi tentano ancora, gli
scellerati, incitandovi a lasciarvi ricostruire in santa pace.
Eccoli ora smascherati e
denudati. Osservatele queste immonde carogne nella loro oscena nudità; ma
badate di turarvi bene il naso, perché non vi ammorbino col loro lezzo impuro.
Ed ora proletari continuate ad
adorare i vostri cari pastori: ardete un cero a santo spiridione perché ve li
conservi sani, onde possano ben tosarvi prima di consegnarvi al beccato.
Continuate a farvi mitragliare nelle piazze, per deporre nell’urna falsa la scheda
che porterà tali carogne putrefatte alla mangiatoia di Montecitorio.
Non vi persuaderete mai che di
tali esseri immondi dovrebbe essere purgata e per sempre l’umanità?
Quando imparerete a far da voi
stessi, a fare a meno di tutti i pastori, buoni soltanto per mungere e tosare
le pecorelle mansuete e poi consegnarle al beccaio?
Solo quando riuscirete a
liberarvi da tutti i prebendati, da questa brutta genia di mascalzoni,
arruffapopoli, solo allora v’incamminerete a testa alta alla conquista della
libertà; solo allora compirete la grande rivoluzione sociale nel solo nome
dell’anarchia.
Euno (Paolo
Schicchi)
(Il Vespro
Anarchico, anno II, n. 33, 20 ottobre 1922)