Sono circa due anni che i giornali del
Kapitale italiano (tutte le sue tendenze, dal Tempo all'Unità) sbraitano contro
un nuovo gruppo: Autonomia Operaia, autore a loro dire di tutte le provocazioni
e delle azioni teppistiche compiute negli ultimi tempi. In questi giorni poi la
campagna giornalistica (soprattutto da parte della sinistra capitalistica)
contro i provocatori si è accentuata poiché in fase di ristrutturazione il
capitale italiano non può sopportare l'attività sovversiva dei compagni che non
intendono più pagare sulla propria pelle il prezzo delle varie crisi capitalistiche
o meglio il prezzo dell'esistenza capitalistica stessa. Compagni che sono
usciti dalla logica politica dei partiti o gruppetti stalino-leninisti e che
superando la falsa sfera della politica, alienante e separata, portano avanti
un discorso basato sull'esigenza di negare la sopravvivenza capitalistica, la
dittatura spettacolare-mercantile che il dominio reale del capitale ha imposto.
Storicamente la classe operaia nei momenti di esplosione rivoluzionaria ha
sempre mandato affanculo i preti radical-borghesi socialisti, sedicenti
comunisti, che erigendosi a suoi rappresentanti si erano innalzati i propri
templi imponendo ai protetti il pellegrinaggio dopolavoristico. Fin dalle sue
origini la classe operaia ha trovato momenti di organizzazione e di
collegamento al di là degli schemi delle varie organizzazioni radical-borghesi,
non ha certo aspettato il messia rivoluzionario per reagire al capitalismo. Ha
saputo trovare propri mezzi e modi: dagli scioperi selvaggi agli atti di
sabotaggio. Cominciando dal 1811 in Inghilterra con il movimento Luddista,
prima e grossa espressione dell'autonomia operaia, passando per il giugno 1848
con le giornate del proletariato rivoluzionario parigino, continuando con La
Comune e con i movimenti del '900 con la rivoluzione sovietica (fino a quando
rimane tale), fino al '68. In queste esperienze il proletariato ha però
superato l'ambito riduttivo delle rivendicazioni economico-politiche; o meglio
nel momento in cui il capitale superando la fase di dominio formale ha
instaurato il suo dominio reale, il proletariato e con esso i proletarizzati ha
cominciato un discorso totale contro il suo essere proletario (o proletarizzato),
contro il lavoro, contro la sopravvivenza capitalistica rifiutando la sfera
separata della politica. Concludendo si può parlare dell'autonomia degli
operai che tendono a negare la loro sopravvivenza in quanto tali e ad affermare
la loro vita in quanto comunisti, dell'autonomia dei proletarizzati che negano
la società spettacolare-mercantile ponendosi contro di essa (al di fuori non ci
crede nessuno). Cosa diversa è invece l'organizzazione Autonomia Operaia,
rimasta interna alla logica politica, all'ideologia marx-leninista, all'ipotesi
del partito rivoluzionario, negando il contrasto tra i due concetti: di
partito, che implica una ideologia, una struttura verticale, dei quadri
dirigenti, dei militari, dei simpatizzanti, degli iscritti, dei militarizzati e
dei non...; e di rivoluzionario, che nega tutto ciò e afferma se stesso, il
proprio corpo, le proprie esigenze (comuniste). Questi compagni (Aut. Op.)
partono da una realtà rivoluzionaria: l’esigenza di sviluppo autonomo di
bisogni proletari, per riproporre tuttavia la militanza
rivoluzionaria(professionale) e il partito, con l'unico risultato di incanalare
queste esigenze rivoluzionarie negli schemi capitalistici della politica e
dell'ideologia. Pur muovendosi da premesse anti-revisioniste (il rifiuto della
figura coscienziale del partito e l'innesco del movimento autonomo) l'autonomia
operaia organizzata fa rientrare il partito dalla finestra, burocratizzando lo
stesso concetto di autonomia.
(Volantino di: Neg/azione 1976)