Quando la pazienza nella cura del metodo antagonista semina i
territori di pratiche di insubordinazione, i fiori del conflitto possono
gemmare anche d'inverno. Gli scontri e le barricate che ieri per ore hanno
attraversato la zona universitaria bolognese sono infatti il prodotto di una
microfisica delle lotte dentro e contro l'università-azienda disegnata dalla
riforma Gelmini che per mesi e anni, con tenacia e determinazione, hanno
inscritto il proprio segno di contrapposizione alla normalizzazione
dell'università. La lotta autunnale sulla mensa, la politicizzazione della
produzione del sapere con le contestazioni ai baroni di guerra, l'agire sulla
dimensione del welfare giovanile, sono altrettanti nodi di una rete antagonista
che ieri ha saputo difendersi e contrattaccare.
Quando erompe lo scontro, dai frammenti raccolti sul terreno è
possibile cogliere alcune verità più generali. Le giornate di lotta che hanno
caratterizzato la zona universitaria bolognese in questo inizio 2017 consentono
infatti di leggere in controluce alcuni elementi. In primo luogo, quello che la
celere ieri ha attaccato, entrando nella biblioteca di via Zamboni 36, è una
chiara istanza di potere agita all'interno dell'università neoliberale. Quando le
trame della governante non riescono a ingabbiare una soggettività autonoma
collettiva che agita come corpo sociale una decisione, per le istituzioni non
rimane che l'intervento militare. Forza contro forza. Lo sgombero e la chiusura
della biblioteca del 36 volevano mettere paura ed estirpare un focolaio di
alterità e conflitto. Ma se nella testa di qualche questurino (e sicuramente
anche di qualche pacato accademico) si voleva fare, in piccolo, una Diaz in
salsa bolognese, l'immediata resistenza degli studenti ha cambiato le carte in
tavola. Mentre la polizia sequestrava di fatto libri e computer (altro che
garantire il diritto allo studio!), le sedie che volavano dentro la biblioteca
iniziavano a definire il profilo di una autodifesa collettiva.
Un secondo punto. La battaglia di ieri nasce su un nodo simbolico e
maledettamente concreto. L'università aveva infatti installato dei tornelli
all'ingresso della biblioteca di via Zamboni. Un caso certo particolare, ma
inquadrabile all'interno della complessiva tendenza a moltiplicare i confini
fuori dai perimetri nazionali così come all'interno di ogni spazio
metropolitano. Per le pratiche di territorializzazione antagonista
l'abbattimento di questo confine interno è stato elemento di coagulo di una
soggettività di rottura che ci parla di visioni del mondo sempre più
contrapposte tra governati e governanti e di una contesa che si estende sino
alla definizione delle geografie del quotidiano.
Terzo punto. Proprio nei giorni in cui le parole lasciate nella
lettera di Michele echeggiano nelle nostre teste, ecco materializzarsi ancora
una volta l'odio che chi ci comanda dimostra per la nostra generazione. Laddove
si apre uno spazio di libertà e autonomia, questo deve essere schiacciato. Ma
l'odio dall'alto, torna anche indietro. L'assedio alla biblioteca occupata
militarmente dalla polizia, i vari attacchi portati alla celere da parte degli
studenti dopo l'irruzione al 36, le barricate che avanzano, indicano infatti
uno spazio del possibile senza il quale tutti e tutte soffocheremmo.
L'energia politica che è esplosa contro il violento attacco della
questura bolognese alle lotte studentesche conferma ancora una volta come
sempre più tutte le città siano oggi parte di un unico sistema-mondo. Chi
comanda vuole costruire ovunque uno spazio per la circolazione di merci e
capitali senza nessun attrito, costruendo i propri confini e le proprie
barriere. A chi sta in basso il compito della quotidiana resistenza, della
sedimentazione di contropotere, della rottura dei confini, del far circolare
pratiche di liberazione.
Il segnale di ingovernabilità tracciato oggi sulle strade della zona
universitaria bolognese è un monito e al contempo una promessa. Mentre per ora
le istituzioni tacciano, l'unico ad abbaiare è Matteo Salvini, che dopo esser
stato ripetutamente cacciato da Bologna lo scorso anno ormai può solo affidarsi
a Twitter. Contro di lui e contro il PD, contro chi ogni giorno prova a
schiacciarci, che le giornate di conflitto che stanno caratterizzando l'Emilia
in queste settimane non siano altro che un nuovo inizio...
Riprendendo uno slogan che echeggiava ieri dalle banlieue parigine a
via Zamboni:
Tout le monde déteste la
police!