L’Antifascist Internationalist Tabur, il Battaglione Antifascista
Internazionalista, si costituisce ufficialmente il 20 novembre dello scorso
anno. La scelta della data non è casuale, perché coincide con l’ottantesimo
anniversario della morte in combattimento dell’anarchico Buenaventura Durruti.
I miliziani internazionali, anche prima della nascita dell’AIT,
hanno pagato un forte tributo di sangue. La morte, durante un bombardamento
dell’aviazione turca, di Robin e Zana, un anarchico e un comunista, ci viene
raccontata con emozione da P. P., un compagno anarchico torinese, dell’Antifa
Tabur. “Il loro ricordo ci è stato di sprone nelle tre settimane di gennaio,
passate sul fronte di Al Bab.”
P. P. combatte in Siraq – il territorio tra Siria e Iraq –
conquistato dall’Isis, conteso dalle maggiori potenze mondiali, tra le quali le
milizie del Rojava, ora Confederazione Democratica della Siria del Nord. I
miliziani dell’AIT sostengono in armi la lotta della rivoluzione democratica,
femminista, internazionalista e non capitalista che, pur tra mille difficoltà,
non ultima quella di non farsi schiacciare da nemici ed “amici”, cerca di
sopravvivere.
Alcuni dei membri di quella che diverrà l’AIT avevano partecipato
alla durissima battaglia di Manbij. Oggi l’Antifa Tabur prende parte alla
campagna per la presa di Raqqa. Il compagno ci racconta dei tanti arabi che si
stanno unendo alle milizie del Rojava, dei villaggi abitati da popolazioni
arabe, che li accolgono come liberatori. Ci parla dell’ingresso in un paese,
dove una donna che si è tolta il velo, liberando i propri capelli, gli rivolge
la parola per avere informazioni. Proprio a lui, uomo e straniero. Alle nostre
latitudini può parere banale ma nella Siria sotto il dominio dell’Isis e del
retaggio patriarcale mai sopito, non lo è affatto. È il segno di quanto i
processi rivoluzionari possano accelerare percorsi di libertà in zone dove la
sottomissione è ancora la norma cui sono sottoposte le vite delle donne.
L’esempio delle milizie femminili, delle donne in armi, spezza l’immaginario e
da forza a tutti e tutte.
Di seguito un documento dell’AIT sulla situazione in Siraq, fattoci
pervenire da P.:
Rojava: una
Rivoluzione in cammino tra ISIS e Turchia
La liberazione della città Taly Abihad/Gire Spi ha permesso la
storica unione dei due cantoni di Kobane e Cizire, ha troncato la famigerata
(ma non unica) autostrada della jihad tra gli allora alleati Turchia e ISIS ed
ha contemporaneamente impresso una forte accelerazione alla rivoluzione del
Rojava. Anche nel 2016, l’anno appena trascorso, molta e’ stata la strada
percorsa dai popoli che abitano le terre del Nord della Siria. Il doppio
binario sul quale si muove la Rivoluzione e’ costituito da un lato dall’unione
con Efrin, il terzo cantone più occidentale del Rojava e dall’altro
dall’attacco a Raqqa la capitale del sedicente Stato Islamico. Per quanto
concerne il primo obbiettivo, la liberazione territoriale ha ormai superato le
acque del fiume Eufrate con la sanguinosa battaglia di Mambij. Tutte le
battaglie sono sanguinose per definizione ma il prezzo pagato dalle compagne e
dai compagni è stato particolarmente alto.
Considerando tutti gli stati che si stanno combattendo direttamente
o per procura nel Siraq (il territorio della Siria e dell’Iraq dal confine
ormai polverizzato dalla guerra) quella che sta avvenendo in queste terre é de
facto una micro Guerra mondiale con alleanze variabili. I nemici della
Rivoluzione del Rojava non mancano ma sicuramente il più accanito si chiama
Recep Tayp Erdogan, l’attuale presidente della Turchia.
La politica neo-ottomana della Turchia prevedeva l’espansione sia
nel Nord dell’Iraq che nel Nord della Siria contestualmente all’eliminazione di
Bashar Al Assad. Per questo progetto imperialista la Rivoluzione del Rojava a
forte trazione curda è un incubo strategico: sia perché l’unione territoriale
dei tre cantoni Efrin, Kobane e Cizire sigillerebbe il confine turco ponendo
fine a qualunque obbiettivo siriano, sia perché il radicamento del
confederalismo democratico rappresenta un temibile esempio ed una stabile
sponda per i 15 milioni di curdi del Bakur, il Kurdistan turco. La campagna
imperialista dello stato turco non sta dando buoni frutti: in Iraq la
coalizione per l’assedio a Mosul ha fortemente osteggiato la forza militare
turca e l’ha esautorata dall’operazione. Ora Erdogan grazie al suo utile
alleato Masud Barzani, presidente del KRG (Kurdistan Regional Governament), il
governo regionale del Kurdistan nell’Iraq del Nord, preme su Shengal ed i
territori Yazidi cercando di piazzarsi sul confine orientale del Rojava tagliandone
le uniche linee di approvvigionamento.
Nell’estate del 2016 con un grande tripudio di fanfare e tromboni e’
partita l’operazione “scudo dell’Eufrate” “per combattere i terroristi
dell’ISIS ed i terroristi curdi dello YPJ/YPG”, secondo la propaganda del
governo turco.
Mettendo piede in Siria l’esercito turco ha dato il via all’
avventura espansionistica di Erdogan, sancendo un cambio di posizionamento
nello scacchiere delle nazioni che si stanno scontrando qui. La Turchia da
alleata e sponsor sunnita dell’altrettanto sunnita ISIS e dalla guerra per
procura è passata alla guerra in prima linea contro i Daesh (l’acronimo arabo
per ISIS), gli amici di ieri.
I militari turchi, per contrastare l’unione territoriale della
Confederazione Democratica della Siria del Nord, denominazione ufficiale della
Rivoluzione del Rojava che rappresenta l’alleanza multietnica tra curdi, arabi,
assiri, circassi, turkmeni, ecc., hanno prima ottenuto la città di Jarablus,
tramite un accordo con l’ISIS e hanno bombardato e colpito duramente la
popolazione del cantone di Efrin ed i villaggi intorno Manbiji, spingendosi poi
velocemente a sud verso Aleppo, città cardine della Siria.
Non riuscendo ad ottenere risultati con l’FSA, (Free Siryan Army)
l’esercito siriano libero, in realtà ormai milizie sotto il comando turco, è
stato siglato un patto tra Russia e Turchia, leggi Vladimir Putin e Recep
Erdogan. L’FSA e la Turchia hanno lasciato Aleppo ai governativi di Assad,
presidente della Siria-filoiraniano ed ormai pedina della Russia, in cambio
della completa libertà di azione su Al Bab, attualmente in mano all’ISIS. Al
Bab è la città principale che separa ancora Efrin dagli altri due cantoni, per
questo motivo l’avanzata delle forze democratiche della Siria si è per ora
fermata a meno di 40 chilometri dall’unione. Le notizie che ci arrivano dal
fronte di Al Bab raccontano di una battaglia senza sosta tra esercito turco ed
Isis e di continui bombardamenti aerei e di artiglieria da terra ma, dopo più
di un mese di scontri, le forze turche non sono ancora neanche riuscite a
mettere piede nella città di Al Bab. Un’altro elemento non trascurabile nello
scacchiere del Siraq è stato l’accordo siglato il dicembre scorso tra Russia
Iran e Turchia per la spartizione della Siria. Tale accordo prevede una tregua
tra le parti che sta sostanzialmente tenendo per la prima volta dai precedenti
tentativi dell’ONU; rappresenta inoltre un anticipo per un futuro smembramento
del territorio siriano. Da questo triplice accordo sono state escluse le forze
rivoluzionarie del Rojava, equiparate all’ ISIS, e gli Stati Uniti d’America
dopo il tramonto della gestione Obama ed a pochi giorni dall’ insediamento del
neo presidente eletto Donald Trump (avvenuto il 20 gennaio). Cosa comporterà e
quali ricadute avrà la nuova gestione a marchio repubblicano resta ancora
un’incognita.
Per quanto riguarda il secondo obbiettivo della Rivoluzione
confederale l’operazione Raqqa, denominata “Operazione Ira dell’Eufrate”, è
partita nel novembre scorso. L’assedio della capitale Daesh con una manovra a
tenaglia sta procedendo lentamente ma senza pause villaggio dopo villaggio.
L’ultima postazione rilevante liberata è stata quella della cittadina e del
castello di Jabar sul cosiddetto lago di Assad. Per quanto riguarda la Turchia
non possiamo non ricordare la brutale repressione del popolo curdo nel Bakur e
non solo e la sistematica soppressione di qualunque voce discordante nei
confronti del capo di stato Erdogan. Sarebbe troppo riduttivo parlarne qui e
per questo motivo rimandiamo ad un successivo apposito comunicato
sull’argomento.
Mentre il coraggio ed il sacrificio delle Unità di Protezione del
Popolo e delle Donne consolidano ed ampliano gli orizzonti della confederazione
democratica della Siria del Nord, la società civile sta cambiando,
rivoluzionando se stessa anche in tempo di guerra, grazie all’impegno portato
avanti negli anni dalle compagne e dai compagni. Molta strada resta da
percorrere ma il modello politico confederale, interetnico ed interreligioso,
l’utilizzo non capitalistico delle risorse naturali e la Rivoluzione della
donna, vera punta di diamante per recidere i lacci di una società patriarcale
conservatrice di stampo tribale, rappresentano un patrimonio dell’umanità da
difendere, se necessario, anche con le armi.
Ci siamo uniti a questa Rivoluzione in cammino per difendere e
diffondere questi valori che crediamo universali.
Silav û rezen soresgeri.
A.I.T. -Antifascist
Internationalist Tabur
Battaglione Antifascista
Internazionalista”