Lao-tse |
Le radici dell'anarchismo e il bisogno di libertà affondano
nell'origine stessa dell'umanità. Sin dal paleolitico gli esseri umani hanno
cercato di mettere in piedi organizzazioni sociali di tipo libertario, l'autorità
e la gerarchia storicamente hanno potuto imporsi solo con l'indottrinamento, la
falsificazione storica e la violenza della repressione. Poiché il movimento
anarchico organizzato nasce nel XIX secolo, si suole catalogare tutti i
fatti libertari ad esso precedenti nell'ambito dei precursori dell'anarchismo.
In ogni tempo vi sono stati individui e
correnti di pensiero e d'azione, che negarono le leggi scritte, affermarono che
ciascuno deve governarsi secondo la propria coscienza, e cercarono di fondare
una nuova società, basata su principi di uguaglianza e di libertà. Troviamo
impronte dell'idea anarchica nel filosofo cinese Lao-tse, che visse nel sesto
secolo a. C.; questo il suo pensiero era questo: «Giacché solo la natura
esiste, ciò che viene da essa è buono, ed il bene consiste nel vivere senza
passioni complicate, senza leggi pervertenti, senza vane guerre. Per
ristabilire la pace, la virtù, la felicità, è necessario sopprimere la
proprietà; è necessario demolire l'autorità, ed impedire ad essa anche di fare
del bene».
Diogene di Sinope |
Tracce profonde d'anarchismo si ritrovano
fra alcuni dei più antichi filosofi greci. Atene ha visto apparire sulle sue
piazze degli uomini scalzi e sdegnosi, declamanti (simili a profeti) contro la
corruzione dei costumi, l'oblio delle leggi della natura, l'amore sfrenato del
lusso, le spregevoli passioni per la ricchezza. Antìstene, drappeggiato in un
logoro mantello, errante di piazza in piazza ad infiammare le genti con la sua
irresistibile eloquenza, a gettare strali infuocati contro i costumi, le credenze,
gli usi, i pregiudizi, e le leggi, fu il fondatore della scuola cinica, attorno
alla quale si riunirono i più profondi pensatori dell'antichità, che
proclamavano l'uguaglianza delle condizioni umane, la solidarietà delle razze e
la abolizione della schiavitù, In un'epoca, e in paesi, in cui il pregiudizio
della città o della nazione era così potente, che i più grandi spiriti ne
subivano il giogo, essi osarono gloriarsi d'essere senza patria, o più
esattamente, d'avere per patria la terra intera, e tutti gli uomini per
concittadini.
Il filosofo greco Diogene di Sinope fu il primo a dire: «Sono
cittadino del mondo intero!»
Lo storico greco Zenone propugnava la
libera comunità senza governo, e l'opponeva all'utopia governativa: la
repubblica di Platone. Egli prevedeva un tempo in cui gli uomini si sarebbero
uniti al di sopra delle frontiere, e avrebbero costituito il «cosmos» cioè
l'universo, e non avrebbero avuto più bisogno né di chiese, né di denaro, né di
leggi, né di tribunali.
Nell'Iliade, poema che esalta la
disciplina e dimostra gli inconvenienti delle collere intempestive di Achille,
nell'Iliade che risplende di lance, di corazze, di caschi superbi, tra il
fragore delle mischie e delle trombe, l'anarchismo spunta imprevisto nelle
indignate rivolte di Tersìte. Non importa se Omero, beffardo ed atroce verso di
lui, lo svillaneggia, lo rabbuffa e lo percuote con lo scettro di Ulisse. In
quell'uomo dalle spalle curve, dallo sguardo losco, dal corpo deforme, v'è
un'anima nostra, allorquando s'erge da solo contro gli Dei, contro il Re,
contro la turba servile; e scaglia, fra gli insulti, le beffe e le percosse, le
sue giuste rampogne.
Promèteo |
Con Eschilo (il misterioso tragico della
democrazia ateniese) lo spettacolo si eleva, si purifica e si ammanta di
sfolgorante bellezza. L'anarchismo è in Promèteo, figlio della Giustizia, che
accese nella mente dell'uomo la scintilla del pensiero, e mise nel suo cuore le
vaste speranze. Punito e fatto incatenare da Giove sulla più alta vetta delle
montagne; sospeso fra cielo e terra; fra l'urlo dei venti ed il fracasso delle
folgori, non apre bocca per un accento di dolore e di rimpianto. Nulla può
spezzare l'orgoglio di questo vinto sovrumano, che preferisce languire,
incatenato fra le rocce, piuttosto che essere il figlio e il messaggero di
Giove; nulla può vincere la resistenza di questo irremovibile odiatore degli
Dei; nulla intenerisce l'animo di questo ribelle, che aspetta, impassibile fra
le torture, l'ora della giustizia e della liberazione. E la sfida ammirevole
ch'egli lancia a Giove, è una di quelle scene dove l'essere pare si elevi verso
il cielo, e diventi una emanazione d'azzurro. «Ed ora cadete su di me, fulmini
dai solchi tortuosi e dalle punte omicide; scatenate sopra di me la vostra
rabbia, tuoni e venti furiosi; sradicate la terra, e confondetela con gli
spaventosi turbini del mare e col fuoco degli abissi; precipita, o Giove, il
mio corpo nel fondo del baratro nero; io sono, io sono oggi, immortale!».
Intanto il progresso, superate le fasi
lente dello sviluppo del pensiero, il quale è costretto ad avanzare brancolante
nelle tenebre del pregiudizio, e tra gli agguati e la tormenta delle
oppressioni medioevali, incomincia a divorare il tempo, allo stesso modo che un
corpo solido cadendo divora lo spazio, e aumenta di velocità col precipitare.
Così, dall'epoca dei Comuni, all'ombra
delle cui bandiere sventolanti dai torrioni e dalle mura, si inizia la rivolta
del pensiero, e s'accende lo splendore delle Università libere, noi ci avviamo
man mano verso la Rinascenza, che è una delle epoche, direi, riassuntive, sintetiche
della civiltà.
Ed è là, tra le bellezze non più raggiunte
dell'arte, tra la audacia delle scoperte ed il movimento anabattista, che sorge
con un fondo anarchico, è là, in una delle illustrazioni del tempo, in
Francesco Rabelais, che ritroviamo il nostro pensiero. La fantastica sua
ideazione dell'abbazia di «Thélème»in Gargantua e Pantagruel è una condanna
dell'organizzazione sociale autoritaria, ed una visione dell'ordinamento
anarchico. I voti di castità, di povertà e di obbedienza non esistevano: ognuno
poteva amare, godere e vivere libero. Preclusa l'ammissione solo «ai bigotti,
agli ipocriti, agli usurai, ai prepotenti». Entrassero invece i buoni compagni,
uomini e donne, nella cinta della civiltà a godere di tutte le gioie più alte
del corpo e dello spirito. La loro vita era regolata non da leggi, non da
statuti, ma solo dalla loro volontà, da questa massima piena di spirito
libertario: «fa ciò che vuoi».
Poi in quel vulcano pieno di rombi e di
fiamme, in quella fornace dello spirito che fu il diciottesimo secolo, il
nostro pensiero trova uno sbocco più ampio e solenne, e s'afferma artiglio di
leone – nella penna demolitrice di Diderot, picconiere formidabile, che colpì
alle sue fonti vitali il principio d'autorità, d'ogni autorità divina ed umana.
Il progresso che ha acquistato intanto
maggiore velocità l'utilizza per renderla ancora più vertiginosa, e dove
occorre, colma gli abissi con le rivoluzioni.
Ormai la storia matura nel suo segreto i
destini scaturenti da tutto un passato di erosione, di corrosione, di
accertamenti scientifici, di libero esame, di penetrazione, di rivolte morali,
di insurrezioni di fatto.
Un paese che si era formato fuori
dell'orbita europea, coi reietti di tutte le patrie; un paese che aveva
ereditato dalla vecchia Europa il bene della civiltà, senza il peso morto del
suo tradizionalismo secolare, aveva compiuto la sua rivoluzione.
E la rivoluzione americana, erede di quella inglese, precipiterà l'1789
in Francia. Ed è proprio la Rivoluzione Francese che la parola “Anarchia” fu
usata per la prima volta, dal girondino Brissot, che la utilizzò in senso
dispregiativo nel 1793 per definire la corrente degli Enragé (Arrabbiati).
Ed è in quell'immenso vulcano delle
rivoluzioni (megafoni che ingrandiscono e universalizzano le voci dei popoli)
che le grandi idee si elaborano, e si sviluppano, perchè è allora che gli
uomini spezzano i freni, schiantano le vecchie abitudini, rovesciano il passato
e calpestano tutto quanto il giorno prima avevano creduto che fosse sacro.
L'idea della uguaglianza civile doveva
abolire la schiavitù e fare di ogni uomo un cittadino.
Ma l'idea della uguaglianza sociale
doveva fare di ogni uomo un uomo, e porre il problema che l'individualità umana
fosse emancipata dalla schiavitù tutta intera: da quella dello Stato: da quella
del capitale.
È allora che l'idea della emancipazione
umana, non più attraverso la rivoluzione di palazzo o di governo; ma attraverso
la rivoluzione sociale, si fa strada e si concreta: passa nella mente di
Godwin, primo teorico nostro; soffocata nelle reazioni successive risorge nel
'30, si rinfocola nel '48, alla spinta di Proudhon. È grazie a quest’ultimo che
dall'800 il termine anarchia comincerà ad assumere un significato positivo, e
che nel 1840 in “Che cos'è la
proprietà?” scrisse: «La proprietà è un furto. Il grado più elevato
dell'ordine nella società viene espresso dal grado più alto di libertà
individuale, ossia dall'anarchia».
L’idea anarchica si propaga per il mondo,
si esalta nella Comune di Parigi, e finalmente l'anarchismo si ritrova, non più
solo idea di solitarie stelle del firmamento filosofico ma si ritrova solida
forza militante nella Prima Internazionale. Là deve insorgere ancora, contro la
vecchia anima autoritaria che si riaffaccia attraverso il dogmatismo statale
marxista, e Bakunin elabora la concezione del comunismo senza frateria; dell'Internazionale
senza vaticani rossi; dell'individualismo senza dominazioni individuali; dell'Anarchia,
ordine di volontà libere e pensanti, di rapporti mutevoli e franchi da ogni coazione;
e della rivoluzione non più dall'alto, per un Potere che ci emancipi per via di
leggi, di decreti, di suffragi universali, di costituenti, di dittature; ma
della rivoluzione dal basso, contro ogni potere, anche sedicente emancipatore.
E siamo alla mozione di Saint-Imier, del 1872, che è la scissione nella
Internazionale e sancisce la costituzione del movimento anarchico.