Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo
che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di
sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha
ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. Qual è il
contenuto di questo “no”?
Significa, per esempio, “le cose hanno
durato troppo fin qui sì, al di là no”, “vai troppo in là” e anche “c’è un
limite oltre il quale non andrai". Insomma, questo no afferma l’esistenza
di una frontiera. Si ritrova la stessa idea di limite nell’impressione
dell’uomo in rivolta che l’altro “esageri”, che estenda il suo diritto al di là
di un confine oltre il quale un altro diritto gli fa fronte e lo limita. Così,
il movimento di rivolta poggia, ad un tempo, sul rifiuto categorico di
un’intrusione giudicata intollerabile e sulla certezza confusa di un buon
diritto, o più esattamente sull’impressione, nell’insorto, di avere “il diritto
di…”.
Non esiste rivolta senza la sensazione
d’avere in qualche modo, e da qualche parte, ragione. Appunto in questo lo
schiavo in rivolta dice ad un tempo di sì e di no. Egli afferma, insieme alla
frontiera, tutto ciò che avverte e vuol preservare al di qua della frontiera.
Dimostra, con caparbietà, che c’è in lui qualche cosa per cui “vale la pena
di…”, qualche cosa che richiede attenzione. In certo modo, oppone all’ordine
che l’opprime una specie di diritto a non essere oppresso al di là di quanto
egli possa ammettere.
L’uomo in rivolta vuole essere tutto, identificarsi
totalmente con quel bene di cui a un tratto ha preso coscienza e che vuole sia
riconosciuto e salutato nella propria persona – o niente, vale a dire trovarsi
definitivamente scaduto per opera della forza che lo domina. Al limite, accetta
quella estrema caduta che è la morte, se dev’essere privo di quella
consacrazione esclusiva che chiamerà, per esempio, la propria libertà.
Piuttosto morire in piedi che vivere in ginocchio.
Piuttosto morire in piedi che vivere in ginocchio.