Un'insurrezione,
non vediamo nemmeno più da dove possa iniziare. Sessant’anni di pacificazione
sociale, di sospensione di tutti i ribaltamenti storici, sessant’anni di
anestesia democratica e di gestione degli eventi hanno indebolito in noi una
certa percezione sconnessa del reale, il senso partigiano della guerra in
corso. È questa percezione che bisogna ritrovare, tanto per cominciare. Non c’è
da indignarsi che si applichi ormai da tempo una legge notoriamente
anticostituzionale come quella sulla Sicurezza quotidiana. È vano protestare
legalmente contro l’implosione compiuta del quadro legale. Bisogna organizzarsi
di conseguenza. Non c’è da impegnarsi in tale o tal’altro collettivo di
cittadini, in quella o quell’altra impasse di estrema sinistra, nell’ultima
impostura associativa. Tutte le organizzazioni che pretendono di contestare
l’ordine presente hanno loro stesse, in versione più posticcia, la forma, i
costumi e i linguaggi di Stati miniaturizzati. Tutte le velleità difare
politica alternativa non hanno mai contribuito,sino ad oggi, che all’estensione
indefinita dei presupposti statali. Non c’è più da reagire alle novità del
giorno, ma comprendere che ogni informazione è un operazione in un terreno
ostile di strategie da decifrare nell’informazione apparente. Non c’è più da
attendere: un fulmine, la rivoluzione, l’apocalisse nucleare o un movimento
sociale. Aspettare ancora è una follia. La catastrofe non è quella che arriva,
è quella in corso. Noi siamo situati, d’ora innanzi, dentro il moto di
inabissamento di una civiltà. È qui che bisogna prendere parte. Il non
attendere, significa in un modo o nell’altro, entrare nella logica
insurrezionale. Tutti gli atti di governo non sono null’altro che un
modo di non perdere il controllo della popolazione. Noi partiamo da un punto di
estremo isolamento, di estrema impotenza. Tutto è da costruire in un processo
rivoluzionario. Niente sembra meno probabile di un insurrezione, ma niente è
più necessario.