A distanza di un secolo resta ancora
intatta la freschezza che animava il percorso di sperimentazione seguito da
Pouget, il tentativo di uscire da una stagione di sconfitta cercando linguaggi
e strategie nuove che rinnovassero la capacità di fare fronte alle nuove
modalità del conflitto capitalistico insieme ad una nuova abilità nel costruire
consenso attorno alle proprie battaglie. In un'epoca, come quella attuale, in
cui l'attenzione ossessiva riposta sui mezzi di lotta sembra voler sopperire
alla debolezza di contenuti e prospettive sui fini, ritrovare questa memoria e
recuperarne la fantasia può aiutare ad uscire dalla maledizione di un dibattito
che ha trasformato la scelta dei metodi di lotta in un paralizzante dilemma
ideologico attorno al quale definire la propria identità. L'attuale
precarizzazione e individualizzazione delle condizioni e dei rapporti di lavoro
ha notevolmente accentuato la pressione sui lavoratori. Mentre la
contrattazione collettiva subisce un ridimensionamento sempre maggiore, i nuovi
modelli di management sviluppano politiche di coinvolgimento totale e
d'implicazione intima dell'individuo nel processo lavorativo, Alla disciplina
militare del taylorismo si sostituisce la «valorizzazione della personalità» e
la mobilitazione del «saper essere» del dipendente. Un discorso sulla supposta
autonomia dell'individuo e sull'investimento nelle risorse umane che riposa, in
realtà, sulla introiezione dei vincoli e degli obblighi che gravano sul
lavoratore, fino ad arrivare ad una vera e propria colonizzazione padronale del
suo cervello.
Sabotare, allora, può voler dire
innanzitutto cominciare a non pensarla più così, a non lasciarsi implicare dai
linguaggi suadenti e truffaldini della nuova etica del capitale, scopiazzati da
filosofie critiche che egli ha saputo intelligentemente integrare.
Sabotare vuol dire rilanciare una cultura conflittuale e antagonista che possa
agire come modello d'apprendimento quotidiano della libertà, a partire innanzitutto
dai luoghi di lavoro. Infatti, se c'è un limite fino ad ora espresso dalla
cultura della disobbedienza in uso nei movimenti, esso riguarda innanzitutto la
sua eccessiva estraneità dai posti di lavoro, quasi che sia stata integrata una
sorta d'intangibilità della estrazione di plusvalore unicamente a vantaggio del
consumo rivolto nei confronti di marche multinazionali.