Si inizia con la felicità. Un’enorme, possente vibrazione collettiva. Parigi, la Francia ha vinto i Mondiali. Bandiere tricolori ovunque, una folla che ribolle di gioia e di grida. Un immenso respiro collettivo. Volti, sorrisi, grida. Forse sono qui, in questa gioia collettiva, in questo enorme sussulto di emozione, le parole chiave della rivoluzione francese: liberté, legalité, fraternité. Vediamo la folla, l’Arc de triomphe. E mentre vibriamo anche noi di questa gioia, imponente, implacabile, il titolo: I miserabili. Intanto la storia: tre poliziotti con la missione professionale di tenere sotto controllo un infuocato quartiere dell’hinterland parigino percorso dalle tensioni e pulsioni di ogni tipo, venato di criminalità grande e piccola, di una cronica patologia sociale. Uno è buono, uno è cattivo, uno 50 e 50. Il buono, Stéphane, è appena arrivato da un’altra città, è al suo debutto in quella squadra, crede nella legge e nella possibile emancipazione degli ultimi.
Il cattivo, ovviamente il capo del trio, è brutale, crede solo nella forza, è corrotto e colluso con i vari poteri occulti del quartiere, poteri al limite e oltre la legalità. Perlustrano, controllano, minacciano: la minaccia come deterrente e strategia di prevenzione del disordine. Ragazzini di strada. Famiglie complicate. Boss della droga e della prostituzione. Commercianti taglieggiati. Una comunità di Fratelli Musulmani con un imam ex galeotto riscattatosi grazie alla fede e leader indiscusso del quartiere, adorato e ammirato per la sua integrità, rettitudine, forza. E ancora: la figura ambigua di colui che viene chiamato il sindaco, un ruolo immagino semi-istituzionale ai bordi tra il caos e l’ordine delle istituzione, un “uomo del popolo” investito di quel pomposo titolo per dialogare, intercettare i germi dello scontento prima che si tramuti in rivolta, fare da cerniera tra il basso e l’alto. Poi abbiamo Buzz, che con un drone sorvola il quartiere e spia le proprie coetanee, e Issa, che si mette sempre nei guai per piccoli furti.
Proprio i due ragazzini sono
la miccia dell’esplosione drammaturgica: Issa ruba un cucciolo di leone da un circo
provocando tensione tra i proprietari di origine gitana e la comunità di colore,
mentre Buzz riprende per puro caso con il suo drone il ferimento di Issa da parte
dei poliziotti quando lo fermano per recuperare l’animale. Così inizia una caccia
al video che potrebbe rovinare la vita dei colpevoli e macchiare la reputazione
della polizia. La parte finale de “I miserabili” mostra la rivolta dei ragazzi che
organizzano un’imboscata contro i tre poliziotti e si vendicano di tutti gli adulti
coinvolti nei soprusi capitanati da Issa, umiliato e ferito il giorno prima per
aver preso il cucciolo di leone. Il film riesce ad esplodere tutta la sua rabbia
e la tensione accumulata, conducendo ad un finale di grande impatto. Ma Ly non ce
lo racconta, chiude sul nero, e lascia all’oblio quella miseria a cui non è riuscito
a dare giustizia.
Il regista Ly ambienta la
rivolta del suo film nel sobborgo parigino di Montfermeil, lo stesso in cui si trovava
coinvolto Jean Valjean nei Miserabili di Victor Hugo nell’insurrezione repubblicana
del giugno del 1832, quando il popolo cercò di rovesciare la monarchia. Tentativo
fallito. Il giovane Hugo era già un repubblicano schierato e sedici anni dopo, in
quel “quarantotto”, uomo e autore affermato, entrò a far parte della politica attiva
come deputato dell’Assemblea Costituente, pronto a opporsi a Luigi-Napoleone quando
da Presidente si elesse Imperatore. Hugo fu animatore del Comitato di resistenza
repubblicana, in un tentativo, abortito, di sollevare il popolo parigino. I suoi
“Miserabili” sono un manifesto, e una sintesi di tutti gli ideali libertari di cui
era testimone.
Il film di Ly si chiude con
una citazione del maestro: “Amici miei, tenete a mente questo: non ci sono né cattive
erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori.”