Caroline Fourest
celebra il coraggio delle donne mentre racconta il genocidio yazida e la lotta
a Daesh.
Per anni le
guerre sono state combattute sul corpo delle donne, ma cosa succede se
quest’ultime decidono di imbracciare le armi per proteggere la propria vita e
quella degli altri? Ce lo racconta Red Snake. Il film – scritto e diretto da
Caroline Fourest – ci conduce direttamente sul campo di battaglia insieme alla
Brigata Serpente: un’unità speciale composta da sole donne pronte a lottare
contro l’Isis.
Potremmo poeticamente
definirle amazzoni o immaginarle come delle vere soldato Jane, eppure questo
non renderebbe loro giustizia. Non restituirebbe a pieno il senso del loro
coraggio e della loro rivoluzionaria abnegazione. Quella che le porta a
smettere di subire ogni oltraggio e violenza, per resistere al nemico che le
vede con terrore perché, essere ucciso da una donna, impedirebbe a un jihadista
di andare in Paradiso e circondarsi delle vergini promesse. «La loro paura è la
nostra forza» spiega infatti la combattente italiana Laura, interpretata da
Maya Sansa, all’impaurita Zara.
Una ha scelto di
unirsi alla brigata per senso del dovere, l’altra è invece una giovane yazida
che, dopo essere sopravvissuta al massacro del suo villaggio ed essere stata
venduta come schiava, ha voluto arruolarsi nella Brigata sotto il nome di Red
Snake, per vendicare il padre e ritrovare il fratellino che gli uomini di Daesh
vorrebbero fare diventare un kamikaze. Ma quello che rappresentano Zara e Laura
– insieme alle loro «sorelle d’armi» dagli epici nomi di battaglia come Lady
Kurda – sono due volti della stessa Resistenza fatta da donne di origini,
estrazioni e culture diverse che si uniscono in un solo fronte, avendo come
icona Rosa Luxemburg e in gola un canto, Bella
Ciao, per liberare tutti dall’oppressione jihadista. Perché la rivoluzione
della Brigata è globale, sociale, politica e, soprattutto, vera. È stata
documentata dalle cronache provenienti dalla Siria.
Ed è stata onorata con il Nobel per la Pace assegnato a Nadia Murad: irachena yazida vittima dell’Isis, sopravvissuta alla tratta degli esseri umani, oggi attivista e Ambasciatrice Onu. È la sua storia che, dopo aver ispirato quella di Zara, si interseca con altre vicende reali raccontate dalla regista, fedele al suo spirito da documentarista. Così, nonostante qualche difetto, Red Snake colpisce lo spettatore perché è una storia di guerra ma anche un racconto di formazione che mischia lacrime, sangue e polvere, per svelare le ferite di chi non si arrende alle atrocità del fanatismo religioso. E alla fine ci mette in guardia: per alcune donne la guerra non è mai finita.