La dipendenza, che tutti accettano
come ovvia, nei confronti del sapere altamente qualificato prodotto dalla scienza,
dalla tecnica e dalla politica, erode la fiducia tradizionale nella veracità del
testimone e svuota di senso i modi con cui gli uomini possono scambiarsi le proprie
certezze. Riponendo la propria fede nell’esperto, l’uomo si spoglia prima della
sua competenza giuridica e poi di quella politica. Gli individui, che hanno disimparato
a riconoscere i propri bisogni, come a reclamare i propri diritti, divengono preda
del sistema che definisce in vece loro le loro esigenze e rivendicazioni. La persona
non può più contribuire di suo al continuo rinnovamento della vita sociale. L’uomo
arriva a diffidare della parola, pende da un sapere presunto. Il voto rimpiazza
la discussione, la cabina elettorale il tavolino del caffè. Il cittadino si siede
dinanzi allo schermo e tace.
Le regole del senso comune
che permettevano alla gente di unire e scambiarsi le proprie esperienze sono distrutte.
Il consumatore-utente ha bisogno della sua dose di sapere garantito, accuratamente
preconfezionato. Trova la propria sicurezza nella certezza di leggere lo stesso
giornale del vicino, di guardare la stessa trasmissione televisiva del suo padrone.
Si accontenta di avere accesso allo stesso rubinetto di sapere del suo superiore,
anziché perseguire l’uguaglianza di condizioni che darebbe alla sua parola lo stesso
peso di quella del suo padrone.
L’esperto non rappresenta
il cittadino, fa parte di una élite la cui autorità si fonda sul possesso esclusivo
di un sapere non comunicabile; ma questo sapere, in realtà, non gli conferisce alcuna
particolare attitudine a definire i confini dell’equilibrio della vita. L’esperto
non potrà mai dire dove si colloca la soglia della tolleranza umana: è la persona
che la determina, nella comunità; e questo suo diritto è inalienabile.