"Vorrei
solo riuscire a comprendere come mai tanti uomini, tanti villaggi e città,
tante nazioni a volte, sopportano un tiranno che non ha alcuna forza se non
quella che gli viene data, non ha potere di nuocere se non in quanto viene
tollerato. Da dove ha potuto prendere tanti occhi per spiarvi se non glieli
avere prestati voi? Come può avere tante mani per prendere se non è da voi che
le ha ricevute? Siate dunque decisi a non servire più e sarete liberi".
Etienne. De La Boétie: "Discorso
sulla servitù volontaria", 1576.
Sono trascorsi
diversi secoli dalla pubblicazione di quest'opera ma la sua attualità rimane
sorprendente. La maggioranza dell'umanità continua a tollerare la propria
oppressione da parte di un pugno di uomini che si ergono padroni del pianeta.
Com'è possibile questa situazione? Eppure il rapporto numerico tra oppressi e
oppressori e decisamente a favore dei primi che potrebbero sbaragliare i
secondi smettendo semplicemente di obbedire.
La semplicità di
questa considerazione suscita pero una serie di risposte sufficienti a
compilare decine di trattati. Non è certamente questa la mia intenzione che
desidero soltanto proporre delle riflessioni.
L'attuale
momento storico sembrerebbe propizio per un cambiamento radicale della società
e in generale dell’esistente. Crisi profonda del post capitalismo con relativi dissesti
e speculazioni finanziarie, indebitamenti degli stati, voragini dei bilanci
delle amministrazioni pubbliche (regioni e comuni), evidente inaffidabilità della
classe politica e istituzionale (occupata generalmente in gigantesche
operazioni truffaldine), aumento della disoccupazione e della povertà etc...
L'elenco è lungo e inquietante; a questo si deve aggiungere il veloce
esaurimento delle risorse naturali a fronte di un aumento demografico
vertiginoso.
Dinnanzi al
peggioramento complessivo delle condizioni di vita di miliardi di individui le
rivolte sociali in aria non sono sufficienti a trasformare l'esistente. Questo
accade perché chi decide di rompere le catene costituisce numericamente una
minoranza e poi perché la sua lotta ha spesso un carattere riformista. Nel
migliore dei casi viene sostituito un governo con un altro dopodiché ritorna la
pace sociale; il potere statale ed economico rimane illeso.
Questo fenomeno
fa pensare che i più considerano il dominio una realtà necessaria, legittimata
dalla sua plurimillenaria esistenza. È innegabile che nel corso dei millenni
l'umanità abbia subito un profondo condizionamento culturale dei poteri
(imperiali, monarchici, statali. economici, religiosi, tecnologici ...) e
liberarsi da questo fardello non è un'operazione semplice e immediata. La
libertà di pensiero e d'azione suscita in molte persone il timore (e spesso
l'angoscia) delle proprie responsabilità esistenziali. Meglio forse rimanere vincolati
saldamente ad un sistema gerarchico e autoritario dove l'abitudine alla delega
ci deresponsabilizza così possiamo continuare a vivere tranquilli nella nostra
nicchia sperando in un potere comprensivo e in un dio generoso pronto a
proteggerci dalle sofferenze (e che salvi la nostra anima dopo la morte). E poi
possiamo esercitare il nostro potere sugli altri individui e ricavare forse
qualche briciola in più da quelle elargite dai nostri padroni. Alla fine c'è posto
per tutti nella grande piramide del dominio, basta accettare (e subire) le sue
leggi, eseguire i suoi ordini, seguire i suoi "consigli".Farsi
educare docilmente dalla famiglia e dalla scuola oppure dal carcere se usciamo
dalla retta via.
Abbiamo anche la
possibilità di esprimere con il voto la nostra preferenza nei confronti dei
nostri prossimi sfrutta:ori. Come chiamare coloro che si .accomodano sui
gradini di questo edificio mostruoso se non con il nome di complici? Al pari del
dominio la complicità servile è nemica della libertà, dell'anarchia. In quale
maniera possiamo combatterla e demolirla?
Innanzitutto seminando
nel nostro cammino quotidiano il pensiero e l'azione antiautoritaria, costruire
molteplici esperienze autogestionarie individuali e collettive, educare alla
libertà, all'azione diretta e al rispetto profondo per il vivente, lottare per
liberarlo dall’ingerenza della civiltà tecnologica. Espandere la nostra
attività ribelle e refrattaria nella grigia società omologata, essere una
torcia nella notte della rassegnazione, una deflagrazione creativa nel silenzio
del nulla.
Nella grande
piramide (tecnocratica) si stanno aprendo numerose crepe. Che la nostra azione
liberatrice la sgretoli del tutto!