Oggi non
siamo in piazza per celebrare una festa istituzionalizzata e santificata ma per
ribadire, riallacciando il filo rosso della memoria, il nostro impegno per una
società senza dominio e sfruttamento.
In questa
dittatura italiana, non più tanto mascherata, non c’è più spazio per le ragioni
di chi ha sempre meno potere sulla propria esistenza, per le ragioni dei
lavoratori licenziati, per i disoccupati, per i senzatetto, per i sottoccupati,
per le centinaia di migliaia di lavoratori precarizzati, per gli immigrati. La
progressiva erosione dei diritti dei lavoratori, conquistati a fatica nel corso
di decenni di lotte, si riflettono nella galoppante distruzione di tutti i
servizi pubblici, della sanità, della scuola, dei trasporti. Una angosciante
incertezza del futuro accomuna chi lavora e chi dovrebbe entrare nel mondo del
lavoro. E al fondo della piramide sociale vengono relegati gli immigrati, i
nuovi schiavi della nuova economia, attaccati ferocemente da un governo autoritario
e razzista che legifera istituendo norme da vero e proprio apartheid.
L’attacco
spietato alle condizioni di vita e di lavoro del mondo salariato e
sottosfruttato, con la scusa della crisi (scatenata dai potentati economici
industriali e finanziari) sta costringendo milioni di lavoratori sulle
difensive, di pari passo con una legislazione che procede come un rullo
compressore a cancellare le più importanti conquiste strappate col sangue negli
anni ’60 e ’70. Precarizzazione diffusa e lavoro nero legalizzato, leggi sulla
sicurezza aggirate, articolo 18 della legge 300 (statuto dei lavoratori)
annullato, danno la misura del forte attacco padronale.
Licenziamenti,
delocalizzazioni, cassa integrazione, procedure di mobilità sono strumenti a cui
si attinge a piene mani creando sacche di disagio sociale che, alimentando il
precariato e la disoccupazione, impoveriscono il popolo per poi ricattarlo:
questa è la strategia che stato e padroni portano avanti da anni.
Contestualmente
alle varie forme di repressione economica, avanza sempre di più in Italia un
clima politico contraddistinto da misure da stato di polizia e da persecuzioni
razziali che sfumano la differenza tra fascismo movimento e fascistizzazione
dello stato. Un crescente autoritarismo che si manifesta quotidianamente nel
progressivo restringimento degli spazi politici del dissenso e dell’opposizione
extraistituzionale, delle libertà civili e individuali, a partire dalla stessa
libertà di espressione e di informazione. Dopo l’approvazione del pacchetto
sicurezza, la gestione dell’ordine pubblico, affidata anche a sindaci e
prefetti, è stata inasprita verso una generale criminalizzazione del dissenso e
dell’opposizione sociale. In tutto il territorio italiano sono stati sgomberati
o sono sotto sgombero la stragrande maggioranza degli spazi sociali liberati,
così come aumentano progressivamente gli arresti e le denunce nei confronti di
tutti coloro che si battono contro la macelleria sociale generata da stato e
capitale. Repressione nei confronti dei militanti politici, azioni persecutorie
discriminatorie nei confronti degli immigrati, dei poveri, delle minoranze –
sui quali il governo scarica strumentalmente la responsabilità della grave
crisi economica che attanaglia il paese, ma che in realtà è il prodotto
dell’intrinseca natura predatoria e assassina del capitalismo. È politica di
tutti i giorni l’esercizio sempre più sfacciato e diffuso della violenza di
stato, della brutalità poliziesca, nelle piazze, nelle carceri, nei reparti
psichiatrici e nei centri di identificazione degli immigrati; violenza che
sfocia in veri omicidi di stato. La guerra tra poveri alimentata dal potere va
contrastata con la promozione delle lotte di tutti i lavoratori, italiani e
stranieri senza distinzioni, valorizzando l’autorganizzazione e l’autogestione
delle lotte, la conflittualità permanente, l’azione diretta popolare, come
metodo irrinunciabile per ottenere cambiamenti reali e duraturi.
Ribadendo che
la lotta contro ogni sfruttamento e contro ogni oppressione debbano dispiegarsi
dal basso, nell’azione autorganizzata ed autogestita contro lo stato ed il
capitalismo e nell’esercizio della solidarietà internazionale, noi rinnoviamo
l’impegno incessante e senza compromessi nella difesa della libertà e
dell’uguaglianza, per la costruzione di una società libera e solidale, nella
consapevolezza che non ci sono e non ci possono essere spazi di mediazione tra
coerenza e consenso, tra radicalità e rappresentanza, tra libertà e potere.
Si
sottolinea, ancora una volta, l’illusorietà dello spazio pre-politico della
mediazione del conflitto sociale, col quale legare le tensioni sociali agli
equilibri mutevoli e ballerini dei giochi infraistituzionali, smorzando la
radicalità di quella che un tempo si chiamava la Questione Sociale.
Il 1° maggio è giorno di lotta internazionale contro i padroni
e lo stato.