Il 1° aprile 1897, a Marsiglia, quattro
individui piuttosto giovani ma dal portamento austero entrano nella sede del
Monte di Pietà in rue Petit-Saint-Jean. Uno di essi porta la fascia tricolore
sul petto e si presenta come commissario di polizia: esibisce un mandato di
perquisizione sostenendo che, da informazioni sicure, nel banco dei pegni si
trova la refurtiva di un colpo in cui e stato commesso un quadruplo omicidio.
L’allibito direttore si inchina all’autorità, è imbarazzato e soprattutto
preoccupato per i prestiti ad alto
interesse che concede privatamente sulle polizze, e certo non può escludere che
tra i molti gioielli incamerati non vi sia della refurtiva. Il commissario
ordina di sprangare le porte e comincia subito l'inventario. Per tre ore i
quattro individui sequestrano tutti i pezzi di maggior valore infilandoli nelle
valigette, dopo aver annotato le caratteristiche in una lista. Il direttore
tenta ogni tanto di discolparsi per l’attività di usuraio, la moglie piange, il
suo impiegato maledice il superiore tra i denti per avergli causato una simile
vergogna...
Ultimata la requisizione,
i tre complici si allontanano con le valigette colme di preziosi mentre il
“commissario” infila le manette ai polsi del direttore e dell’impiegato: “Spiacente,
ma dovrete chiarire la vostra posizione al magistrato inquirente”, e li fa
salire su una carrozza, dando al vetturino l’indirizzo del Palazzo di
giustizia.
L’accompagna quindi
davanti alla porta del procuratore della Repubblica, intimando ai due di sedere
sulla panca del corridoio mentre lui va a “prendere ordini”. L’individuo entra
nell’ufficio, richiude la porta, vi resta qualche istante per chiedere
un’informazione, torna fuori e toglie le manette al direttore, dicendogli: “La
questione è molto, davvero molto grave... Il procuratore in persona vi interrogherà,
aspettate qui, verrete chiamati entro breve tempo”. E si allontana
tranquillamente, uscendo dal palazzo.
Qualche ora più
tardi, il direttore-usuraio e io suo malcapitato impiegato guardano con
crescente disperazione i dipendenti che se ne vanno, finche il Palazzo di
giustizia resta completamente deserto. Ma non osano chiedere nulla, temono di
suscitare le ire del procuratore disobbedendo agli ordini del “commissario”… L’usciere,
andando a chiudere il portone, si accorge dei due e chiede cosa diamine stiano
facendo lì. Al direttore cedono i nervi: si alza di scatto, piagnucola di non
aver fatto nulla di grave, si protesta innocente per quanto riguarda la
refurtiva e minimizza i guadagni come usuraio, implora, grida, si dispera. L'usciere,
stupefatto, corre ad avvertire il giudice istruttore, l'ultimo rimasto nel
palazzo. Questi, già in ritardo per una cena con ospiti a casa sua, va su tutte
le furie e ordina di sbattere in cella i due sventurati: qualche reato devono pur
averlo commesso se si trovano in quella situazione, tanto vale che meditino una
notte dietro le sbarre, l’indomani si deciderà. Condotti in prigione
singhiozzanti e prostrati, il direttore e l’impiegato saranno più tardi
interrogati da un brigadiere della gendarmeria, che dal magma di assurdità e
discorsi incoerenti proferiti, tra i quali emergono comunque stranezze da
chiarire, intuisce qualcosa di bizzarro, che assomiglia a una colossale beffa.
Avverte le autorità, e solo il giorno dopo il mistero è svelato: mai in città
si era ordita un'impresa criminosa più sfrontata e audace, con indubbi risvolti
esilaranti. Tutta Marsiglia ne riderà per mesi.
Un'azione degna
di Arsenio Lupin. In realtà si chiama Alexandre-Marius Jacob, anarchico
francese votato a gabbare l’autorità e i ricchi borghesi derubandoli con
astuzia e spettacolarità, senza rinunciare ad un tocco di eleganza in ogni
gesto. Quando lo scrittore Maurice Leblanc presenterà nel giugno del 1905 il
personaggio di Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo, descrivendolo come “l'uomo
dai mille travestimenti, di volta in volta autista, tenore, prelato, antiquario
o ufficiale degli ussari, che colpisce castelli e salotti e che una notte,
penetrato nella dimora del barone Schorman, ne uscì a mani vuote lasciando un
biglietto: 'Tomerò quando mobili e gioielli saranno autentici’..", molti
in Francia conoscevano il personaggio a cui si era ispirato,
quell'Alexandre-Marius Jacob che tre mesi prima era comparso davanti al
tribunale di Amiens, accusato di essere il capo dei Travaílleurs de la nuit,
i "Lavoratori della notte”, la banda di anarchici che aveva ridicolizzato
polizia e alta società per anni. Al processo, magistrati, avvocati e pubblico
erano rimasti allibiti (o affascinati) dalla verve oratoria di Jacob, ironico e
cortese, sferzante e sicuro di sé fino all’irriverenza. In un articolo su “L'Aurore"
si legge: “Non è più la società, rappresentata da giudici e giurati, che giudica
Jacob, il principe dei ladri: è Jacob che fa il processo alla società. È lui, in realtà, a condurre il
dibattimento. È sempre lui di scena. È sempre lui a dire l’ultima parola.
Formula domande e risposte, presiede, giudica! Ai suoi lati ci sono i gendarmi,
ma la loro presenza perde importanza non appena Jacob prende la parola per
interrogare il presidente. Va tutto a rovescio!”