Il
battello chiamato Granma salpò la notte tra il 24 e il 25 novembre 1956
dalla foce del Rio Tuxpan nello stato messicano di Veracruz, con un carico di
ottantadue uomini tra cui Fidel Castro ed Ernesto “Che” Guevara. All’alba del 2
dicembre approdarono sulla Playa de las Coloradas, a Cuba. L’esercito del
dittatore Batista, già allertato, scoprì quasi subito la loro presenza, e si
mobilitò in forze. Il 5 dicembre, i rivoltosi sfiniti ed affamati decisero di
accamparsi in una piantagione di canna da zucchero ad Alegria de Pio.
Al contrario
del nome della località dove si stabilirono, l’umore dei “barbudos” era a
terra; l’attraversata non fu facile a causa dell’eccessivo numero di persone a
bordo, del continuo maltempo e delle pessime condizioni dell’imbarcazione,
impiegarono sette giorni invece dei tre previsti, in pratica il loro sbarco fu
un vero e proprio naufragio, perdendo l’intero equipaggiamento pesante e con
otto uomini che risultavano dispersi.
E il
posto in cui erano praticamente crollati aveva un nome macabramente beffardo:
nessuna allegria, nessuna pia misericordia, ma una pioggia di piombo senza
pietà. Centinaia di soldati si erano attestati a poche centinaia di metri, e di
lì a poco gli aerei da ricognizione individuarono i ribelli.
Si scatenò una sparatoria generale, tre membri della
spedizione caddero subito falciati dalle raffiche incrociate, ognuno cercava
scampo tra le canne rispondendo al fuoco come poteva. Poi ci fu una pausa di
silenzio irreale, rotto dalla voce dell’ufficiale della truppa che intimava la
resa. Qualcuno, tra i ribelli, mormorò timidamente che, forse, era davvero
tutto perduto…
Ad un tratto si sentì una voce:
“¡Aquí no se rinde nadie, hijueputa!”
“Qui non si arrende nessuno, figlio di puttana!” Fu quell’incitamento,
lanciato da Camilo Cienfuegos, un rivoluzionario di cui si sente parlare poco, fu quello
spirito indomabile, quel desiderio di continuare a ribellarsi, a lottare, anche
se tutto sembrava ormai perduto, che diede la spinta necessaria a rovesciare la
situazione.
Il combattimento riprese con maggiore intensità di prima, i soldati non
riuscirono nell’intento di circondarli; i sopravvissuti ripiegarono in piccoli
gruppi, perdendo i contatti. Camillo “Centofuochi” rimase con due compagni, e soltanto
quattro giorni più tardi riuscì a ricongiungersi con il Che e pochi altri. Ci
furono abbracci e occhi lucidi, e la risata limpida di Camilo che riprese ad esortarli.
Niente di strano, per chi aveva deciso di dare l’assalto al cielo in
ottantadue contro un esercito di trentacinquemila soldati con carri armati e
aviazione, ritrovandosi poi in quindici, e decidendo di proseguire, senza il minimo
dubbio, verso l’orizzonte della rivolta, anche se questo si va sempre
allontanando, convinti del fatto che un giorno la rivoluzione avrebbe trionfato.