I ribelli sono inguaribili utopisti, animati da un insopprimibile
bisogno di ribellarsi.
I ribelli agiscono per istinto, perché hanno la ribellione nel
sangue ancor prima che nella mente. E anche quando la sconfitta appare ormai
inevitabile, quando la realtà consiglierebbe loro l’accettazione di un
compromesso per salvare il salvabile, continuano a battersi per l’«evasione
impossibile». Essere consci che in questo mondo non c’è possibilità di evadere
non basta a convincerli ad arrendersi.
Ma allora, perché ribellarsi, e magari partecipare ad
un’insurrezione popolare, se si è coscienti che, come diceva Germàn List
Arzubide, «la cosa peggiore che possa accadere ad un rivoluzionario è vincere
la rivoluzione»?
È inutile cercare una risposta razionale quando a rispondere possono
essere soltanto il cuore e le viscere. Forse perché vale la pena continuare a
camminare verso l’orizzonte pur sapendo che è irraggiungibile, come ci ricorda
Eduardo Galeano, e questo non giustifica chi rimane seduto ad osservare il
mondo, magari accontentandosi di credere che sia il migliore dei mondi
possibili.
Questi terribili e indomabili utopisti sono quelli che danno più
fastidio alla borghesia, ai padroni, alla classe dominante, ai governi, al
potere. E per questo si tenta di eliminarli. Ma appunto perché sono indomabili,
non si accontentano di eliminarli solo fisicamente: occorre distruggere il mito,
infangare le loro azioni e la memoria, diffondere menzogne che incrinano
l’immagine di idealisti, sognatori, esseri umani spinti dall’utopia a compiere
imprese memorabili, uomini e donne dai mille piccoli e grandi difetti come
chiunque altro, ma aggrappati (con gioia di vivere o con disperazione, comunque
immuni dalle mire di potere) ad un’incrollabile dignità, ad una coerenza che
non li rende però miopi e sordi di fronte agli errori compiuti.
La disinformazione, oggi più che mai, governa le menti e i cuori di
molti, troppi abitanti dei paesi “civilizzati”, convincendoli che, comunque
sia, le ribellioni o le rivoluzioni finiscono sempre col divorare i propri
figli, quindi ribellarsi è vano: l’orizzonte resta irraggiungibile, meglio
sedersi e aspettare la fine, immersi nello spavento senza fine delle nostre
mille paure quotidiane, instillate a regola d’arte da coloro che temono di
perdere oscuri privilegi per colpa di chi, da qualche parte di questo strano
pianeta, potrebbe ancora preferire il rischio di una fine spaventosa piuttosto
che rinunciare a camminare eretto.
Noi siamo ribelli, siamo quelli che non si rassegnano e non si
arrendono; siamo quelli che perdono ma non si danno per vinti; siamo quelli che
hanno l’insopprimibile bisogno di “andare contro”. Per noi “è meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine”.